14 -15 settembre 1921: l’impresa degli alpinisti Jori, Andreoletti, Zanutti
Tra gli avvenimenti di cui il 2021 riporta alla memoria, di rilevante importanza alpinistica, è la salita alla parete nord del Monte Agnèr 2872 m, il gigante della Valle di San Lucano appannaggio di tre valenti arrampicatori che affrontarono la montagna il 14 e 15 settembre. Propositore e sostanzialmente artefice di questa impresa fu il mai abbastanza lodato Arturo Andreoletti, aiutato dalle capacità atletiche del suo amico fassano Francesco Jori che guidò la cordata e da Alberto Zanutti, suo fidato collaboratore durante lla Grande Guerra al Rifugio Ombretta in Marmolada. In Valle di San Lucano in località “I Chìn” in piena vista sull’Agnèr, nel 1981- per il 60.le della salita – la Sezione Agordina del CAI guidata da Bepi Pellegrinon, appose una targa in memoria che sarà rinfrescata in questo autunno 2021, rievocando i valori dell’impresa che concluse gli intenti e la carriera alpinistica a grande livello di Arturo Andreoletti. Valori nati durante la sua permanenza nella Caserma 22 marzo 1848 ad Agordo, al cospetto dell’Agnèr, la prima vetta delle Dolomiti che salì in divisa da ufficiale degli alpini. Era stato proprio in quell’occasione – il 28 agosto 1907 – che la montagna, salita con un gruppo di notabili agordini, gli era entrata nel cuore, affascinato dalle forme eleganti e possenti …«Questa cima dominante, in forma di pilastro angolare, è la più bella di tutta la catena, ed offre un panorama meraviglioso. Fu la prima scalata che io abbia compiuto nelle Dolomiti e per questo mi è particolarmente cara»….come scrisse poi nell’articolo monografico “La catena della Croda Grande nelle Dolomiti Agordine” apparso nel 1911 sulla Rivista Mensile del CAI.
La montagna gli era entrata talmente nel cuore che, l’anno successivo, il Nostro volle cimentarsi con una prima salita di tutto rispetto: l’accesso all’Agnèr da occidente lungo l’impervio Canalone de le Scandole che trae origine dalla F.lla del Pizzón in fondo alla Valle di San Lucano; il 15 luglio lo accompagnarono ancora la guida Parissenti e Luigi Favretti Dalla caserma 22 marzo 1848 avviò le sue uscite nelle montagne della conca salendo alcune cime documentando spesso con fotografie queste esercitazioni militari. In seguito Arturo Andreoletti proseguì l’attività esplorativa sulle montagne Agordine (Schiara, Pale di San Martino, Marmolada, Monti del Sole, Cernera-Verdal), privo della divisa da alpino ma sempre in stretto contatto con l’autorità militare. Richiamato partecipò al conflitto mondiale entrando nell’epopea della contesa bellica soprattutto in Marmolada, distinguendosi per l’eccellente conoscenza del territorio ma anche per la sua grande umanità dei suoi modi. Invero c’era ancora un sassolino in uno dei suoi scarponi in quel primissimo dopoguerra: l’Agnèr. Rinsaldato il suo legame con suo amico Francesco Jori e convinto il collega di guerra al Rifugio Ombretta Alberto Zanutti (alpinista e primo salitore della Torre Trieste con Cozzo nel 1910), valutò la possibilità di riuscita di un ardito itinerario alpinistico sul gigante che domina la Valle di San Lucano. Durante un sopralluogo lo sguardo si posò sul fantastico spigolo – poi salito nel 1932 da Celso Gilberti ed Oscar Soravito – e sulla vasta parete settentrionale della montagna segnata da una serie di stretti canali e neri camini….la scelta fu presto fatta. Così il 13 settembre 1921 i tre alpinisti si trovarono ad Agordo, pronti per l’avventura che valeva una vita. L’impresa prese avvio alle 9.15 dopo aver raggiunto la base della parete dal capoluogo di vallata: Francesco Jori capocordata, poi Andreoletti ed infine Alberto Zanutti; alla sera oltre 2/3 della parete erano stati superati con difficoltà fino al V grado. Bivaccato a 2400 metri, il giorno seguente dalle ore 10 si dovettero affrontare gli ultimi 400 metri e alle 18.35 i tre intrepidi calcavano la cima della montagna; attardati dall’oscurità dovettero nuovamente bivaccare lungo il canalone della Normale per essere a Malga Agnèr alle 5 e ad Agordo alle 8. L’anello era stato chiuso con una grande impresa alle spalle: purtroppo il mondo alpinistico non diede grande risonanza a questa salita alla quale solo anni più tardi venne dato ampio spazio, dapprima da Ettore Castiglioni e oltre 40 anni dopo da Reinhold Messner autore della prima invernale (30 gennaio-1 febbraio 1968).
1-Cartolina stampata in occasione del 40.le della ripetizione e prima invernale alla Via Jori, Andreoletti, Zanutti alla parete nord dell’Agnèr che realizzarono gli alpinisti Reinhold e Heinrich Messner con Sepp Mayerl (30 gennaio/ 1° febbraio 1968); la compagine l’anno prima aveva salito in prima invernale anche lo spigolo Gilberti-Soravito (11/13 febbraio). Questo bel acrilico de La saga del Piz da cui è stata tratta la cartolina, è opera di Aldo Decima da Pèden di Taibon Agordino: le espressioni della coorte dell’Agnèr antropizzata, potrebbero benissimo essere quelle tributate dalla montagna alla cordata dei tre valenti alpinisti non più in giovane età (Alberto Zanutti, il più anziano, aveva già 44 anni). Tra i vari atteggiamenti rappresentati si potrà menzionare l’accettazione del gigante maggiore cui fanno eco la rabbia, la sorpresa e la nonchalance delle altre cime……
2•3•4-Ritratti dei tre alpinisti
Francesco Jori (1889-1960)
Arturo Andreoletti (1884-1977)
Alberto Zanutti (1877-1958)
5-L’itineraio di salita sulla parete nord del Monte Agnèr. La via (altezza 1300 m c.a; difficoltà fino al V), segue una serie di camini dalla vetta alla base ben visibili dal fondovalle. A circa 2400 metri, il cerchietto localizza la posizione del bivacco dei primi salitori la notte sul 15 settembre).
6-La comitiva degli agordini sulla vetta dell’Agnèr il 28 agosto 1907 con Arturo Andreoletti in divisa.
IL RACCONTO DELLA SALITA DALLE PAROLE DI ANDREOLETTI *
. ….Attaccammo decisi. Le difficoltà erano notevoli, in complesso la salita si svolse per tutta la giornata con regolarità… salvo che nell’orario che ci eravamo proposti; infatti, quando, all’imbrunire, convenimmo opportuno arrestarci, ritenemmo di aver superato i 2/3 della salita: più ardui. Ci sistemammo in uno stretto camino, disponendoci, opportunamente assicurati, uno sopra l’altro, perché non era possibile diversamente. Ma, a questo punto, ci attendeva una dolorosa sorpresa: alcuni appigli al disotto di noi avevano tracce di sangue. Come mai? Nessuno aveva denunciato di essersi ferito e neppure di avere le mani scorticate. Infine il taciturno e stoico Zanutti si decise a mostrarci che i suoi piedi erano nudi e abbondantemente escoriati; il poveretto già da alcune ore saliva, terzo di cordata, a piedi nudi, senza nulla dire, essendo le suole delle sue pedule del tutto consumate a causa dell’aspro logorìo subito. Che fare? Come avremmo potuto continuare a salire in tali condizioni? Zanutti era il solo che non se ne dava pensiero; era piuttosto preoccupato di procurarci noie: soffriva, tacendo, come sempre. Infine si escogitò un rimedio, o meglio un ripiego: avremmo tagliato a strisce la robusta tela del nostro unico sacco, il quale era ancora affidato alle spalle di Zanutti, ospitando tre robusti panini imbottiti per la nostra cena e quattro grossi chiodi da parete. Ci saremmo rifocillati; i chiodi ci avrebbero assicurati alla roccia durante la notte e il sacco, smembrato secondo le nostre intenzioni, avrebbe in qualche modo supplito alle pedule consumate. Ma qui ci attendeva una nuova dolorosa sorpresa: il sacco ci apparve tutto bucherellato come un rozzo crivello: il continuo strisciare e strofinare lungo le pareti dei camini e, da parte loro, i 4 chiodi avevano completato la deplorevole operazione: i panini, minutamente sbriciolati, se n’erano andati per i buchi del setaccio. Sicché alla fine della laboriosa giornata rimanemmo a bocca asciutta e a stomaco vuoto.
Trascorremmo la notte nelle nostre incomode posizioni, in un succedersi di dormiveglia, calcolando che non avremmo avuto più di 2-300 metri di parete, forse senza troppe difficoltà. Toccammo finalmente la cima, che era ormai notte fatta, una notte di plenilunio, quando le ombre sono nere, profonde, impenetrabili a causa dell’abbaglio della luce lunare. ….Quando raggiungemmo la Malga Agnèr era giorno fatto. Quegli ospitali pastori si prodigarono per ristorarci; avevamo la gola così rinsecchita, che non potevamo sorbire il latte che per mezzo di paglie cave. E il nostro uomo con le scarpe ed i viveri? Ci aveva atteso alla Malga per due notti, e poco prima che noi arrivassimo era sceso ad Agordo per organizzare una spedizione di soccorso. Fortunatamente arrivammo in paese quando i preparativi erano appena iniziati. Eravamo tutti e tre contenti, soddisfatti. Ma io sono certo che più di tutti noi, nel suo silenzio abituale, Zanutti – il nostro caro Alberto – assaporava la sua intima felicità.
*Lo scritto apparve sulla rivista Le Alpi Giulie dopo la scomparsa del suo caro amico Alberto Zanutti (1884-1958), al quale dedicò questo ricordo.