di RENATO BONA
Nel precedente servizio ci siamo soffermati sulla “Ferrovia delle Dolomiti” proponendo come ultima immagine la fermata di Landro con, nello sfondo, le Tre Cime di Lavaredo. Riprendiamo il discorso partendo dalla fermata di Nasswand con la stretta omonima e, a seguire, due foto: visione della linea lungo il lago di Dobbiaco, e le due stazioni di Dobbiaco (Toblach). Marcello Rosina, autore del libro “Belluno. La crisi dei vagoni” stampato nell’agosto 1998 con la tipografia Tiziano di Pieve di Cadore con numerose, splendide fotografie della collezione Benito Pagnussat, ricordava che: “Lasciata Cortina, dopo la fermata di Codivilla, la ferrovia proseguiva in rettifilo verso la stretta compresa tra il col Rosà e la catena del Pomagagnon; qui sostava alla fermata di Fiames e successivamente girava a sud del colle di Podestagno per entrare nella lunga galleria di Pezzovico; uscitavi, superava con un ponte di ferro di 36 metri il rio Felizon per entrare nella più breve galleria di Podestagno; seguiva per la valle del rio Felizon con un percorso a mezza costa che la portava a Ospitale. Da qui si rituffava nel bosco e dopo aver doppiato i due piccoli laghi Bianco e Nero, arrivava al passo Cimabanche che, con i suoi 1529 metri sul livello del mare, era il punto più alto del tracciato. Oltre Cimabanche, posto al confine tra il Veneto e l’Alto Adige, la linea riprendeva a scendere nel bosco con una pendenza del 33 per mille, raggiungendo Carbonin; proseguiva poi per Landro dopo aver costeggiato la valle ed il lago omonimi. Doppiato Landro, affiancava il torrente Rienza e, dopo due passaggi a livello consecutivi, giungeva a Sorgenti; l’ultimo passaggio a livello sulla statale preludeva alla fermata di Dobbiaco Lago, seguita dopo un breve tratto dove si toccava la pendenza di 35 mm/m., dalla stazione terminale di Dobbiaco, a quota 1217”. Ripercorsa la storia della Ferrovia delle Dolomiti che, come già detto, era nata per esigenze belliche sul fronte dolomitico della Grande Guerra, per necessità di rifornimento del fronte che correva lungo la linea Popera-Tre Cime di Lavaredo-Cristallo-Tofane, sia da parte dell’esercito italiano che di quello austriaco, l’autore del libro richiama il fatto che “Nel 1928 fu realizzata la più importante tra le modifiche e cioè l’elettrificazione dell’intera linea secondo le tecniche più moderne: la linea di contatto con sospensione a catenaria su pali a traliccio, alimentazione della sottostazione convertitrice di Cortina con linea trifase a 20.000 Volt proveniente dalle centrali di Ciampalto a Calalzo e di Pelos, trasformazione e conversione in corrente continua a 3.000 Volt per la linea di contatto con raddrizzatori a vapori di mercurio, rinforzo della linea con’feeder’ da Cimabanche a Cortina e da Cortina a Peaio”. Altri particolari: per la costruzione del nuovo materiale rotabile la Sdf, Società anonima per la ferrovia delle Dolomiti si affidò alla Stanga di Padova che produsse sei elettromotrici a carrelli con relative rimorchiate (sempre a carrelli), quattro bagagliai a due assi con comparto viaggiatori e due locomotive a carrelli. Tutto il materiale venne verniciato con una livrea bicolore: fascia bianca all’altezza dei finestrini e fascia azzurra con bordi più scuri nella parte inferiore della cassa; facevano eccezione le due locomotive, dipinte in grigio scuro… Contemporaneamente vennero inoltre acquistati alcuni carri a due assi ed a carrelli, dei carri scala per la manutenzione della linea aerea e due spartineve a vomere a due assi di tipo Winterthur. L’inaugurazione della trazione elettrica avvenne il 1. luglio 1929, tuttavia si continuò ad usare anche quella a vapore fino al 1932, dopodiché le Feldbahn furono demolite e le Mallet accantonate e quindi vendute”. Con l’elettrificazione coincise il periodo più fortunato per la Sdf che nel 1936 riuscì, caso rarissimo in Italia, a chiudere in attivo. Purtroppo… anche sull’Italia si abbatté la seconda guerra mondiale e la Ferrovia delle Dolomiti fu riportata alle funzioni originarie; in particolare nel 1943, dopo la trasformazione di Cortina in zona ospedaliera, furono smantellati gli interni delle carrozze per adattarle al trasporto dei feriti. Per fortuna non subirono danni ingenti gli impianti, a prescindere dal crollo del ponte in curva sul torrente Rudan a Peaio e così, nell’immediato dopoguerra “fu possibile tornare all’attività normale” anche se, nel decennio successivo si registrò un incremento massiccio degli automezzi che costrinse la ferrovia ad un ruolo di secondo piano. Le Olimpiadi invernali del 1956 “rappresentarono per la Sfd una sorta di prova del nove; l’unica possibilità concreta per rilanciare la linea” che passò per un’intensa attività di riammodernamento: acquisto di due elettrotreni snodati a tre casse di costruzione; costruzione di alcune carrozze a carrelli con testate arrotondate da utilizzarsi come rimorchi per gli elettrotreni; sostituzione di venti chilometri di binario con rotaie più pesanti e l’aumento del raggio di alcune curve; prolungamento in artificiale della galleria di Pezzovico a riparo delle frane; costruzione di un nuovo fabbricato viaggiatori a Calalzo e riordino degli interni di quello di Cortina; costruzione di 300 metri di paravalanghe; infine montaggio di trenta semafori automatici ad altrettanti passaggi a livello. Un’operazione massiccia che premiò la Sfd con un traffico giornaliero di oltre settemila passeggeri. Tuttavia… dopo la parentesi olimpica riprese il declino della ferrovia poiché le pur notevoli modifiche “non erano riuscite a cancellare i difetti di strutture ormai obsolete e per di più nate per esigenze belliche”. E così, nel volgere di pochi anni, i treni Sfd furono sempre più disertati, soprattutto dai turisti che raggiungevano il Cadore direttamente in automobile; ed i fondi cominciarono a scarseggiare pericolosamente, portando il materiale rotabile ed impianti fissi in una situazione di progressivo decadimento. I risultati di tutto ciò – concludeva Rosina – “si videro la mattina dell’11 marzo 1960 quando la rottura di un asse del bagagliaio determinò ad Acquabona il deragliamento di un treno diretto a Calalzo (con 2 morti e 27 feriti alcuni dei quali gravi – ndr.). Il traffico sulla Calalzo-Cortina proseguì stancamente per poco più di due anni finché non fu decisa la chiusura definitiva; il 17 maggio 1964, alle ore 18,20 l’ultimo convoglio della Ferrovia delle Dolomiti lasciò Cortina per dirigersi verso Calalzo. Unico treno sopravvissuto fu il merci che dalla cava di San Vito portava a Cortina la ghiaia destinata a coprire il piazzale della stazione, ora capolinea degli autoservizi. Il giorno 30 di quello stesso mese anche l’ultimo pantografo si abbassò definitivamente e della vecchia Ferrovia delle Dolomiti, venduti gli elettrotreni e qualche carrozza, rimasero solamente delle carcasse in attesa della demolizione”
. NELLE FOTO (riproduzioni dal libro: “La crisi dei vagoni” di Marcello Rosina-Benito Pagnussat; Illustrazione Veneta del 1929): la fermata di Nasswand con la stretta omonima; Ferrovia delle Dolomiti lungo il Lago di Dobbiaco; le due stazioni di Dobbiaco Toblach; dal trenino a vapore alla ferrovia elettrica; interno di un vagone; particolari di una carrozza; panoramica di Sappada; Mare di San Pietro di Cadore; Costalta, in Comelico; Santo Stefano di Cadore; panorama di Danta; dintorni di Candide nella valle del torrente Pàdola.