VOLTAGO Celebrazione partecipata, pur con tutte le attenzione legate al momento. Volti e storie dalle varie realtà associative e di montagna della Conca agordina. Commosso il ricordo che ha voluto far arrivare l’amico di scalate Ivo, così come la lettura del testo riportato da Radiopiù, il pensiero di Giorgio Fontanive.
DI GIANNI SANTOMASO
L’Omelia di Don Fabiano Del Favero
Carissimo Paolo,
nel brevissimo spazio di un respiro, ci hai convocati qui oggi in questa nostra bella ed imponente chiesa. In modo inaspettato viviamo questa nostra liturgia di commiato, che vorremmo potesse diventare in modo vero e comunitario anche atto sincero di affidamento. Molti sono i sentimenti e gli atteggiamenti che ci portano qui, diversi i modi con i quali viviamo il lutto ed anche il momento delle esequie; ciascuno di noi con quel singolare ed intimo rapporto col buon Dio, con i passi che viviamo e compiamo giorno dopo giorno, con le nostre battute d’arresto e quella certezza nel riprendere il cammino dopo il tempo della sosta e, se vuoi, anche della perplessità. La nostra umanità ancora una volta cerca i tratti della presenza del Signore Gesù: egli lo ha promesso ai suoi discepoli e quindi a noi! Eppure spesso facciamo così tanta fatica a scorgerli…provo ad immaginare in modo assai limitato tutta quella sofferenza che avrai sperimentato quando la tua esistenza ha sperimentato quella svolta così impegnativa, negli anni ’80, con l’incidente. Siamo qui come comunità, che anche in questi giorni ha fatto i conti con il distacco da una persona “di casa”, un nostro compaesano che si è fatto eco della molteplicità dei volti e delle passioni di questo nostro amato, tanto amato e sempre più fragile territorio. Siamo qui, per stringerci ai tuoi fratelli ed ai tuoi cari, in quel misterioso intreccio delle nostre vicende terrene capaci di “fare famiglia”. Tu lo sai, perché te l’ho richiamato in più di un’occasione e mi rispondevi col sorriso: una tua Madonna addolorata mi accompagna da quando sono prete. E’ stato il dono proprio di amici di Frassenè nel giorno della mia prima Messa. Ma varda ti come si intrecciano le vicende terrene, fino a farmi arrivare proprio a questa cara comunità e ad affidarti oggi all’abbraccio del Cristo Risorto. L’ho guardata, la tua Madonna, anche nello scrivere queste poche righe. I colori sono scuri, in un’alternanza fra blu e nero con tratti di celeste. Mi hanno sempre colpito i suoi occhi…sono tristi e rivolti verso il basso. Una pennellata di rosso risalta, richiamando la dolcezza delle labbra. Le immagino così perché Maria non è donna soltanto, è mamma. Ho considerato spesso come probabilmente questa Madonna sia stata in grado di esprimere ciò che tu hai vissuto nel profondo del tuo intimo, in questi anni dove hai intessuto molteplici e svariate relazioni. Il vissuto del credente è e rimane questo: un essere umano col coraggio di cercare, ma invitato prima di tutto a tessere relazioni di vita. Il nostro trovarci qui oggi ne è il segno concreto…come concreto desidereremmo fosse questo nostro affidarti. Ho trovato una significativa preghiera scritta da uno scalatore…penso possa essere il nostro modo di affidarti, sentendoci piccoli di fronte alla maestosità del Creato che qui da noi è autentico inno alla bellezza, capace di diventare anelito al Cielo: Signore, non ti chiedo la forza nelle mie braccia perché è il cuore che mi aiuta a resistere. Non ti chiedo il sole caldo e rassicurante, perché nella vita occorre imparare a convivere anche con il brutto. Non ti chiedo sentieri facili, perché nelle difficoltà mi sento più forte e vivo la vita fino in fondo. Quello che chiedo a te, che mi hai regalato la passione di questi monti è la capacità di essere l’immagine di te, Signore, che mi aspetti come sempre col tuo amore, simile a quello di una madre per un figlio, eterno e dolcemente indissolubile.