SENTORE DI PRIMAVERA
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Erano giorni incerti e grigi. L’inverno, di giorno, sembrava voler lasciare quell’angolo di montagna che si chiama Colzaresè. La primavera, ormai, appariva distante pochi passi ed anche il Pelsa era dubbioso se scaricare la neve dalle cime oppure tenersela abbracciata a se per qualche altra settimana. Ma era di sera che l’inverno, con un impeto di orgoglio, ritornava a ghiacciare le poche chiazze di neve al suolo, regalando ancora notti di freddo e stelle. Il vento da nord portava nuvole grigie che nascondevano le creste del Pelsa. Sarebbe stata neve. L’aveva assicurato pure Bernacca, con la sua voce pacata e sicura che usciva dalla TV in bianco e nero. Non sarebbe caduta fino a Colzaresè, ma leggermente più in alto. Forse appena sopra Colaz, a lambire la grande casa casa bianca che scrutava enigmatica la Val Cordevole. I larici ondeggiavano lentamente mentre le nuvole scendevano fin quasi alle solitarie case di Ghisel. Poi una pioggia sottile ed insistente faceva risuonare il tetto di lamiera del tabià. L’acqua scorreva in piccoli rivoli sui teli di naylon che coprivano la legna ed il pomeriggio sembrava dilatarsi in un tempo sospeso, scandito dal cigolio della portella della cucina economica. Solo il crepitare della legna di larice rompeva il silenzio di quei momenti. Non era più inverno, ma nemmeno primavera. Un limbo di tempo dove la “pèndola” batteva ore stanche e sempre uguali.
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