SPECIALE RADIO PIU
DI RENATO BONA
Settecentoundici anni or sono – lo ricorda lo scomparso storico agordino prof. don Ferdinando Tamis nel suo “Gli Arcidiaconati nella Diocesi di Belluno”, servizio pubblicato nel numero 113 di ottobre-dicembre 1950, dell’“Archivio storico di Belluno, Feltre e Cadore”, pagine 90 e seguenti – “Con l’atto notarile del 21 marzo 1208 si iniziava nel Cadore un moto di autonomia nei confronti della prima e antica chiesa plebana o pievanale; ma solo più tardi, per un processo evolutivo, le chiese che erano semplici cappelle divennero pievi filiali, ossia parrocchie con qualche dipendenza”. Tamis ne fa cenno anche nel libricino “I nostri santi” edito a Belluno nel 1991 quale “sussidio per il catechismo, l’insegnamento della religione nella scuola e per il bollettino parrocchiale”. Lo stesso Tamis scriveva a proposito della chiesa plebana di Canale d’Agordo : “Il 4 maggio 1456 il pontefice Callisto III firmava il decreto per l’erezione della pieve di Canale, l’ultima pieve della diocesi di Belluno eretta con bolla pontificia secondo il diritto antico. Le prime furono quelle del Duomo e di Agordo, poi vennero le pievi di Alpago e di Zoldo, Cadola, Sedico, Castion, Limana, San Gregorio, Sospirolo, Lavazzo. Le altre parrocchie sorsero con provvedimento vescovile”.
Il sito Wikipedia pubblica l’elenco di comuni e frazioni italiane legati alle pievi e cita fra i primi i bellunesi Pieve di Cadore e Pieve d’Alpago, fra le frazioni Pieve di Livinallongo del Col di Lana. Dal canto suo Infodolomiti a proposito della chiesa di Santa Maria Nascente di Pieve di Cadore annota: “… rappresenta un distaccamento da altra chiese del Cadore, caratterizzata da uno stile composito e complesso assolutamente slegato a quello neoclassico che accomuna invece numerose altre chiese, come la parrocchiale di Auronzo piuttosto che quella di Lorenzago. La struttura attuale risale al 1763 ed è stata realizzata su progetto di Domenico Schiavi; le sue origini sono antiche, infatti testimonianze attestano l’esistenza di una pieve già nel XI secolo. La Chiesa di Santa Maria Nascente ospita un notevole patrimonio architettonico e artistico, unico nel suo genere nel territorio Cadorino, sia per la complessità dell’edificio sia per le numerose opere d’arte che custodisce, tra cui una pala del celebre pittore Tiziano Vecellio”. Per quanto riguarda invece Pieve d’Alpago, ecco quanto si può leggere nel sito della Provincia di Belluno:”La parrocchia dedicata alla Madonna del Rosario ha origini antichissime, probabilmente anteriori all’anno 1000. La chiesa fu rifatta nel secolo scorso mentre l‘antica pieve, già citata da una bolla di Papa Lucio III del 1185 fu distrutta in occasione di un terremoto”. Sulla stessa chiesa si sofferma anche Infodolomiti: “Il primo documento che attesta l’esistenza del territorio della pieve d’Alpago è la famosa bolla di papa Lucio III (1185) con la quale si confermano al vescovo di Belluno determinati diritti e possessi nel territorio diocesano. Si può comunque ipotizzare che la costruzione della chiesa matrice di Pieve d’Alpago sia avvenuta intorno al IX secolo, come testimoniano altre antiche fondazioni quali le pievi di Cadola (Ponte nelle Alpi), Castion (Belluno) e Limana, tutte intitolate alla Vergine. La chiesa di Pieve d’Alpago è la “madre” di tutte quelle sparse nel territorio circostante ed è infatti qui che, nel corso dei secoli, le famiglie nobili della zona avevano il proprio sepolcro ricavato nel pavimento dell’aula. Il terremoto del 1873 sconvolge l’edificio che viene però prontamente ricostruito su progetto dell’architetto feltrino Giuseppe Segusini con linee neoclassiche e nel 1929 viene acquistato un grande organo oggi ancora in uso. Nel 1936 un nuovo intenso sisma sconvolge il territorio e la chiesa viene nuovamente restaurata arricchendosi inoltre dei cicli pittorici di Arturo e Lorenzo Roella, Abele Della Colletta e Luigi Vardanega; la chiesa ospita anche alcune opere databili tra Cinquecento e Seicento e provenienti dall’antica pievanale”.
Ed ora, di nuovo con Wikipedia, per un po’ di storia. È consuetudine storica far risalire intorno all’anno 1000 la nascita, attorno a Chiese (pievi) sparse nelle campagne, di villaggi più o meno cospicui. La sopravvivenza dell’attuale toponimo Pieve, se da un lato conferma un’antica supremazia religiosa e civile sull’intera conca alpagota, dall’altro non è sufficiente a determinare con esattezza l’epoca in cui l’abitato che esso individua si sia formato. È certo, come hanno rivelato gli scavi archeologici delle località di Quers, Staol di Curago e Pian de la Gnela, che l’area fu abitata sin dalla protostoria, con floridi insediamenti che si situavano lungo antiche vie di comunicazione ad oggi ancora misteriose. I reperti rinvenuti nelle necropoli non solo testimoniano una continuità abitativa dalla preistoria sino all’Impero Romano ed oltre, ma offrono l’immagine di una comunità ricca, fiorente ed artisticamente evoluta. Recenti studi sui reperti archeologici suggeriscono di inquadrare gli insediamenti preistorici in un vasto contesto economico-culturale che non si limitava all’area veneta, ma si spingeva oltre i confini nazionali nei territori dell’attuale Slovenia. Il termine pieve deriva direttamente dal latino plebs plebe, genitivo plebis). Con la progressiva affermazione del Cristianesimo il termine passò a indicare la comunità dei battezzati compresa entro un’organizzazione territoriale. In età romana, una pieve poteva sorgere sia in città che in campagna . Alla caduta dell’Impero Romano e col graduale disfacimento delle istituzioni e delle strutture poste a governo del territorio, l’amministrazione delle pievi passò in gran parte alle autorità religiose, sia nelle aree di campagna sia nei centri abitati di una certa importanza (o perché sedi di mercato o in quanto sedi amministrative o stazioni di posta, oppure ancora insediamenti agricoli di dimensioni maggiori). Il maggiore sviluppo di questa organizzazione territoriale si ebbe in zone in cui l’autorità centrale era più debole, spesso di difficile accesso. E veniamo alle pievi ecclesiastiche: la loro diffusione iniziò nel VI secolo, con la scomparsa dell’organizzazione statale romana. In seguito al progressivo disfacimento dell’Impero, le proprietà delle pievi passò al vescovo. Nelle zone dove la centuriazione romana non era ancora stata cancellata dal tempo, le pievi ecclesiastiche furono erette in corrispondenza di un punto prestabilito: il quintario, ovvero la strada, più larga delle altre, che veniva tracciata ogni cinque lotti del reticolato centuriale. La pieve, oltre ad essere il nucleo dell’organizzazione ecclesiastica delle campagne, ereditò le funzioni civili e amministrative del municipio romano, assumendo il ruolo di “centro” del territorio di competenza. Il pievano infatti, oltre ad essere il governatore delle anime, assolveva funzioni civili e amministrative: teneva i registri delle nascite, custodiva i testamenti e gli atti di compravendita dei terreni. Le pievi si occupavano di riscuotere i tributi e raccogliere le decime. Inoltre coordinavano i lavori concernenti la difesa del territorio: bonifiche, opere di canalizzazione, ecc. La pieve, quindi, era sia centro religioso che entità territoriale (Plebs cum capellis et decimis: la pieve funge da chiesa matrice; le cappelle sono i centri religiosi minori da questa dipendenti). Le chiese della pieve erano spesso dotate di un proprio ospedale; il sagrato costituiva anche luogo di mercato. Tra il IX e il X secolo, le pievi cominciano a essere dotate di campanili (tale elemento non esisteva nelle chiese paleocristiane e bizantine), contribuendo, in alcuni casi, alla modifica dei connotati strutturali degli edifici. Il campanile era posto a breve distanza dai muri della chiesa. Era molto più alto della chiesa e, sulla sua superficie, invece di avere finestre era dotato di feritoie: il campanile aveva spesso la funzione di torre di avvistamento, per segnalare il pericolo (incursioni di nemici o l’esistenza di eventuali incendi). La funzione religiosa delle pievi era essenziale nell’Italia poco urbanizzata dell’Alto Medioevo: per chi abitava lontano dai centri urbani era l’unico luogo di culto in cui si potevano amministrare tutti i sacramenti, a partire dal battesimo. Originariamente, infatti, il rito del battesimo veniva celebrato solo nelle cattedrali, cioè nelle città. Soprattutto nelle regioni dell’Italia settentrionale, e in Toscana, il termine passò quindi a indicare le chiese dotate di fonte battesimale, chiamate anche “chiese battesimali”. Attorno al X secolo cominciò l’utilizzazione del termine “pieve” con significato di “centro di una circoscrizione ecclesiastica”. Alla pieve facevano spesso riferimento villaggi (o “ville”) circonvicini, dotati anche di propria chiesa (cappella) e cappellano curato (sacerdote vicario officiante), comunque soggetto al pievano. In queste cappelle si svolgevano tutte le normali funzioni liturgiche, tranne il battesimo. I vicari (del pievano), in epoca medioevale, vivevano in comunità, in una casa detta canonica ed erano chiamati “canonici” (da canone, elenco dei ministri di una chiesa) e raggiungevano le chiese soggette per la messa festiva e l’insegnamento della dottrina. In seguito si stabilirono presso le chiese succursali delle ville, che in molti casi si erano nel frattempo dotate di una fonte battesimale e di un cimitero (“curazie”), in qualità di curato, dando inizio al processo di formazione delle parrocchie (il passaggio dalle Pievi alle Parrocchie, inizia nei primi decenni del 1100).
NELLE FOTO (Wikipedia, Infodolomiti, Google, parrocchiefodom): il prof. don Ferdinando Tamis; lo storico e alle sue spalle l’ex sindaco di Agordo lo scomparso “Tama” Armando Da Roit; le chiese pievanali di Pieve di Cadore, Pieve d’Alpago, Pieve di Livinallongo del Col di Lana e Canale d’Agordo .