ALLA VIGILIA DELLE GIORNATA DELLA DONNA ABBIAMO RICEVUTO UN DOCUMENTO A FIRMA DI “NON UNA DI MENO” CHE VOLENTIERI PUBBLICHIAMO
Perchè, specie in questi tempi, nessuna si senta sola. Per resistere alla situazione di difficoltà e paura ricordandoci che ci si salva tutte, oppure nessuna.
Domani è l’ 8 marzo. Ed è sciopero delle donne, anche ai tempi del Corona Virus.
Per festeggiare la donna, una famosa catena di elettrodomestici propone uno sconto del 20% agli “angeli del focolare” nella scelta dei prossimi elettrodomestici, le attività commerciali, peraltro le uniche attive in questi giorni, garantiscono omaggi di vario genere, i più sensibili ci aggiungono celebrazioni delle presunte virtù e peculiarità femminili. Una festa per una specie rara? Alt, innanzitutto non si tratta della Festa della donna, ma della Giornata internazionale della donna. La Giornata internazionale della Donna? Nata agli albori del secolo scorso all’interno dei movimenti di lotta per i diritti dei lavoratori, sancisce una verità che appariva evidente già allora, ai tempi di uno stato sociale tutto da costruire: la peculiarità della condizione della donna, e della donna lavoratrice, in una società che la escludeva in maniera doppia, dentro e fuori i luoghi di lavoro (e non lo pensavano solo le donne, che ad escluderle ci perdessero, anche in termini economici, tutti: ad esempio, il deputato Salvatore Morelli, già nel 1869).Oggi, quella data concentra un secolo di battaglie, da quella per il voto, alla lunga
stagione del dopoguerra in cui le donne presero parola per ascoltarsi, per proporre il proprio punto di vista sull’agire politico che andava realizzando tutte le conquiste in termini di diritti a partire dalla scrittura della Costituzione (senza distinzione di sesso, si aggiunse all’epoca nell’art.3) fino all’ottenimento di quella parità sostanziale in termini legislativi in cui oggi viviamo. Come lo fecero? Attraverso un movimento multiforme, a livello mondiale ed anche in Italia, che chiamiamo femminismo (più correttamente, pertanto, femminismi). Di solito viene detto: femminismo è il contrario ed equivalente del maschilismo, una forma di presunta supremazia non necessaria di un genere su un altro. No, femminismo e maschilismo sono due concetti non avvicinabili. Nelle diversità di visioni, i femminismi riconobbero e riconoscono nella società un sistema di potere diseguale che si chiama patriarcato, che stabilisce spazi di azione, libertà e potere differenti a seconda del genere. Ciò si esprime sia nelle leggi, nella vita della polis, della città, che in ambito privato. Uno degli assunti del femminismo è
che “il personale è politico” ed è anche nello spazio della famiglia e delle relazioni che vanno considerate disparità, esclusioni e violenze. In altre parole: o cambiamo il dentro e l’invisibile o non modificheremo mai il visibile. Nella lunga marcia per i diritti, ciò rivelò spazi che non erano stati presi in considerazione. Recentemente (estate 2019) a Bologna è apparsa una campagna comunicativa curata da Cheap, si chiama “Ringrazia una femminista”. Ricorda una verità che spesso dimentichiamo, uomini e donne. Se per una donna esiste la parità di salario, la possibilità di decidere del proprio corpo, il diritto all’aborto, la possibilità di denunciare una violenza, di accedere a tutti i campi del lavoro, del sapere, di votare, è grazie al femminismo. Spesso, peraltro, nella quotidianità questi diritti non sono praticati, altre ingiustizie agiscono, la violenza contro le donne è un dato costante, non un’emergenza del nostro paese: a inizio marzo sono già 15 le vittime di femminicidio, 75 le donne uccise nel 2019. I luoghi creati da donne per contrastare le situazioni di violenza, i centri antiviolenza (qui a Belluno, quello di Belluno Donna) ci avvisano che le situazioni familiari di violenza sono numerose e che la cultura di normalizzazione della violenza all’interno delle relazioni (come da uno studio tra i giovanissimi di qualche anno fa) rimane assai alta. Come, “dove c’è violenza c’è casa”? Uno spot dell’artista Lila Esposito per il movimento Non una di meno dice proprio così, rovesciando un celebre spot. Chi se ne occupa (e chi la vive) purtroppo lo sa:
è la casa il luogo principale della violenza di genere in Italia, perché sono le relazioni familiari quelle dove questa disparità si esercita, dall’impossibilità di decidere per sé, alle molte modalità con cui si può agire violenza, fino al dato di evidenza che in genere occupa i quotidiani: i femminicidi, una parola nata per indicare un omicidio specifico, quello di una donna uccisa da un uomo con il quale aveva avuto un legame, un omicidio che con quel legame ha a che fare. Che cos’è Non una di meno? Non una di meno è un movimento internazionale, nato nei paesi dell’America Latina per lottare contro la violenza contro le donne, dopo l’omicidio nel 2016 di
una giovanissima, Lucia, in Argentina. Si è diffuso in tutto il mondo, anche in Italia, città e province comprese. Un movimento che si riconosce in un’idea sistemica della violenza, che esiste cioè a partire da una serie di altre forme di ingiustizia e di esclusione, un mondo di muri in cui i diritti sono dei pochi a discapito dei molti. O siamo in grado di vederlo nell’insieme, e di uscirne tutti, non una di meno, oppure avremo fallito la battaglia per un mondo più giusto. Per far vedere ciò che spesso è invisibile Non una di meno si è inventata uno strumento: Lotto marzo, lo sciopero delle donne. Uno sciopero delle donne? Sì, è dal 2017 che, nel mondo (e anche a Belluno) le donne scioperano. Lo fanno nella maniera tradizionale, con l’astensione dai luoghi di lavoro ma, siccome al lavoro femminile spesso si assomma il lavoro della cura, si astengono anche dal lavoro che quotidianamente è appannaggio loro nelle famiglie e nelle case: la cura dei soggetti non autonomi (bambini, anziani, malati), degli spazi della relazione, di quella domesticità che spesso si vive da sole. Lo sciopero è stato
anche uno strumento per dirsi, occupando le piazze: non sei sola. E cosa ne è dello sciopero ai tempi del Covid-19, il Coronavirus? Viviamo misure eccezionali di contenimento delle attività collettive, volte a limitare un’emergenza sanitaria che ha colto impreparato il nostro paese e il suo sistema sanitario, risvegliando paure e smarrimento. Non una di meno aveva previsto due giorni di mobilitazione, l’8 e il 9. La Commissione di Garanzia ha vietato lo sciopero (anche se permangono alcune categorie sindacali che lo effettueranno), il Decreto ministeriale ha rese impossibili le modalità tradizionali della presenza in piazza per l’8 marzo.
Eppure, lo sciopero è più necessario che mai. Perché scioperare se comunque si deve stare in casa? L’emergenza di questi giorni ha ribadito alcune delle questioni su cui Non una di meno riflette (e che ha scritto nel proprio Piano per l’eliminazione della violenza contro le donne, reperibile nel sito): la parità salariale di fatto non sempre esiste, nel lavoro precario dell’oggi, spesso anche negli ambiti oggi fermi (l’educazione, il
lavoro culturale). In questi giorni, migliaia di lavoratrici hanno perso il salario o ricevuto salari ridotti. Le scuole sono chiuse (e bambini e ragazzi sono a carico delle proprie famiglie), si propone che ciascuna e ciascuno lavori da casa, sfruttando gli strumenti tecnologiche. Il telelavoro e “smart working” è stato presentato di volta in volta come soluzione obbligatoria o consigliata, in ogni caso sempre la migliore. Poca attenzione è stata però posta alle condizioni materiali di lavoratrici e lavoratori. Lavori a chiamata, contratti di collaborazione, lavoratori autonomi, partite IVA: come avrebbero potuto stare a casa? E chi una casa non ce l’ha? Chi ha una casa che non è un posto di lavoro adeguato? Non tutte le case sono un paradiso. Le quarantene, lo stress a cui le condizioni eccezionali sottopongono rischiano di esasperare la violenza domestica. E la rabbia spesso esplode contro i più deboli, nella necessità di individuare un nemico: giorni di razzismo esasperato, a partire dagli episodi di colpevolizzazione di quando l’Italia pareva immune al contagio. Nel paradosso che siano poi spesso straniere le lavoratrici domestiche e di cura, che si assumono una quota significativa del rischio sanitario. C’è di peggio: in questi giorni un’immagine di una bambina di spalle, di fronte alla polizia greca schierata a difesa dei confini d’Europa, ci ricorda che l’Europa non morirà di COvid-19, ma che i principi su cui si fonda stanno già morendo. Ne siamo tutti silenziosamente complici, nella solitudine di questi giorni, in particolare la solitudine politica. Eppure, la responsabilità collettiva della cura è l’unico anticorpo che abbiamo per alleviare la solitudine e la paura che ci attraversano mentre proviamo a contenere l’epidemia, nella consapevolezza della vulnerabilità dei nostri corpi e delle nostre vite. E allora, che fare? Le reti sociali virtuali di cui facciamo parte possono diventare luogo di espressione: i gruppi territoriali invitano ad inviare messaggi sui social e, nel pomeriggio di domani, a produrre confusione con gli strumenti della domesticità (pentole, padelle o qualsiasi altro strumento del lavoro domestico e di cura) alle 16, ciascuna dalla propria finestra, ad indossare i simboli dello sciopero, a farsi delle
foto. Perché è importante? Perchè, specie in questi tempi, nessuna si senta sola. Per resistere alla situazione di difficoltà e paura ricordandoci che ci si salva tutte, oppure nessuna. Quando l’emergenza sarà finita molto potrà e dovrà essere fatto, in termini di riflessione e di agire politico: un’analisi del nostro welfare e in particolare della sanità pubblica, di come venga distribuito e gestito il lavoro di curo, ma anche una riflessione sul ruolo di ciò che è pubblico (le numerose attività culturali oggi rimandate) e che ci fa sentire parte di una comunità, esseri liberi, felici, solidali. Potranno essere tempi bellissimi, di lotta per il pane ma anche per le rose perché,
come cantavano le operaie inglesi a inizio ‘900, “anche i cuori muoiono di fame” (è la canzone Bread and roses, del 1906). Domani è la Giornata internazionale della donna. Ma è l’8, cioè lotto marzo, tutti i
giorni