FALCADE Che bella storia è stata raccontata in questi giorni sulla pagina facebook “Tes da la Val del Biois”. A dare lo spunto Riccardo Fregni, figlio di Lionello già medico del paese. Riccardo si è infatti rivolto alla comunità falcadina per chiedere informazione circa un laghetto presente in Valle del Biois ad inizio secolo che scomparve, secondo il racconto, nell’arco di una sola notte.
Così Riccardo: “Mio padre, qualche sera fa, mi ha raccontato una storia che ha dell’incredibile, così oltre a condividerla con voi vi chiedo se ne sapete qualcosa. Dei suoi pazienti, i primi anni che prese servizio a Falcade, gli raccontarono che nell’attuale via Venezia c’era un laghetto a inizio secolo, ma che un giorno all’improvviso questo scomparve in una notte. Mi confidò che quella zona nel sottosuolo vi erano degli strati di gesso ed è per questo che il laghetto soprastante fu risucchiato dalla falda sotterranea che andò a implementare il rio dietro il macellaio”. La curiosità è stata presto ripagata grazie ad alcune risposte arrivate direttamente dalle memorie storiche della valle, ne riproponiamo le più interessanti.
Kevin Zanvettor “Mia nonna mi ha detto che quando era ragazza (anni cinquanta) in quella località c’era un grosso e profondo buco con dell’acqua sul fondo, ma essendo pericoloso negli anni seguenti venne coperto”.
Paolo Calzavara “Ho dei ricordi di mio nonno un po’ confusi detti anni fa che mi parlava di una crepa sotterranea che partiva forse da Vallada e che probabilmente arrivava fino a Cortina. Per il gesso, mia nonna raccontava che il marito aveva un po’ di gobba perché da bimbo e proprio perché piccolo andava a cavare gessi nelle cave a Vallada col cugino”.
Romano Valt “Sul colle tra Valt e Canes in una profonda dolina si era formato un lago, che purtroppo con l’acqua di scolo innescava un movimento franoso. Durante il fascismo la forestale fece tagliare l’argine e prosciugò il laghetto. Ancora sopra le case di Canes c’era un lahetto meglio una pozzanghera che sparì a seguito dell’alluvione del ’66. Dietro la macelleria c’è sempre stato un ruscello che alimentava l’allora segheria. Poi un giorno nella zona di Palù (Brostolade) scaturì una sorgente abbastanza abbondante che alimentava un rivo che scendeva appunto verso la macelleria, venne poi intubato perché non arrecasse danni. Che esista la crepa sotterranea è vero. E’ nota come faglia della Valsugana. Parte appunto in Valsugana e va su verso il Cadore. Incrocia l’Agordino ad Agordo. Una cava di gesso c’era a Marmolada e ha fruttato parecchio materiale è stata sfruttata per una trentina d’anni a partire dalla fine degli anni 50. La cava di Vallada non ha fruttato che poca cosa. Il gesso veniva trasportato con autotreni nel cementificio di Pederobba”
Giuliana Tissi “Penso che il gesso di Vallada venisse lavorato anche a Cencenighe alla “Bellrock” la fabbrica di gesso dove ci lavorava mio papà e mio suocero chiusa a fine anni 60 dove oggi c’è Luxottica, a casa dei miei genitori ci sono ancora dei rosoni in gesso fatti in quella fabbrica”.
Una bella storia come si diceva tra l’altro supportata con documentazione storica come ricorda Daniele Scola, esisterebbe infatti un libro-documento Gavon del geologo professor Vittorio Fenti con tutte le risposte ai quesiti. Da questo libro si evince che l’acqua che prima attraversava Palù sia stata in seguito intubata a ovest di Valt e convogliata verso il torrente Gavon.
Adriano Serafini Cenni storici: Nella Val del Biois si trovano testimonianze di eventi disastrosi che risalgono all’ XI. Secolo.
La tradizione ricorda la frana del torrente Gavon del 7 dicembre 1011 (la data appartiene alla tradizione orale ancora molto viva). Questo torrente scorre nei meandri di un enorme smottamento che ha modificato sostanzialmente la morfologia del luogo. Ancor oggi sono ben visibili lungo il suo letto e alle testate lungo il torrente Biois sedimenti di materia alluvionale di riporto: frammenti di rocce portate dal bacino superiore tra Col Becher e Piz Forca, ceppi di fusti di grossi alberi che la frana schiantò e sommerse. Nel “Celentone”, bollettino parrocchiale di Canale d’Agordo, numero 3 del marzo 1922, leggiamo: La sera del 7 dicembre 1011 alcuni boscaioli di Meneghina (Sappade) i quali attendevano al taglio di piante e di legna, lassù sulla alta riviera, furono avvertiti da qualcuno che la grande massa di terreno aveva subìto dei movimenti e mostrava delle crepature. V’era serio pericolo che il terreno franasse. Alcuni di essi fuggirono a casa; altri invece, che non credevano al probabile disastro, rimasero a dormire nelle capanne di legno dove erano soliti passare tante volte la notte.
Ma nel mattino seguente, molto prima che spuntasse il giorno, si sentì un sinistro e lungo boato. La massa enorme del terreno, corroso e impregnato d’acqua, si mise in movimento e lentamente scivolò giù dalla montagna, riempì la valle profonda ed ebbe tale violenza da giungere fino al corso del Biois e da estendersi fino a Caviola e Pié di Falcade.
La immensa frana travolse ogni cosa e molto probabilmente qualche casa posta nel piano tra i due paesi suindicati. Questo piano che era prima una bellissima prateria, diventò poi una colmatura brutta e sterile che tolse la visuale tra Caviola e Falcade. Il corso del Biois restò per un po’ di tempo ostruito e nelle vicinanze di Pié di Falcade si formò un lago, il quale scomparve in seguito, man mano che il Biois corrodeva la barriera prodotta dalla frana. Il torrentello, che discendeva dal territorio franato delle Marmolade, scorse per qualche secolo senza letto fisso a destra, verso Brustolade e da ultimo ai piedi del colle di Pergoi e Darecoi. Dal 1600 in poi, quel piccolo torrente. (terribile e spaventoso nei periodi di pioggia e di alluvione) ritornò e corse stabilmente nel suo letto antico.
Il torrente andò scavandosi sempre più basso il suo alveo finché giunse a toccare il suolo che percorreva prima del franamento. Oggi, a conferma del fatto, si possono vedere dei vecchi e fradici tronchi d’albero , sporgenti dalle due rive opposte del Gaon. Quei tronchi sono i resti della selva travolta dalla grande frana…(Fonte: Maria Del Din Dall’Armi nel libro “Dissesti idrogeologici ed eventi calamitosi nell’Agordino dal 1000 al 1966” del Circolo Culturale Agordino)