BELLUNO Su come sarà la ripresa produttiva, dopo la fase covid, soprattutto copo il tristemente famoso lockdown Confindustria ha aperto un dibattito dopo che la discussione era in stato dormiente per un lungo periodo, lo ha fatto la presidente Lorrain Berton. A dare continuità al confronto ci pensa oggi il segretario della Cgil di Belluno Mauro De Carli. Riceviamo e volentieri pubblichiamo il suo intervento.
di Mauro De Carli, Segretario Generale Cgil Belluno
Gli industriali rivendicano la piena facoltà di licenziamento, per ora ostacolata dall’ultimo blocco imposto dal Decreto agosto e che coincide con la data del 15 novembre prossimo. La loro volontà di “liberarsi” di gruppi dei loro dipendenti è sicuramente dettata dal protrarsi della stagnazione post-blocco COVID, dalla mancanza di una ripresa che Confindustria prevedeva, questo in epoca lockdown, più veloce e consistente, tanto che chiesero, con toni decisi ed accusatori nei nostri confronti, di sospendere il periodo di ferie solitamente posizionate ad agosto, per recuperare la produzione che il lockdown aveva bruciato. In verità da parte sindacale avevamo fatto presente tre aspetti che gravavano su una ripartenza totale; la frenata degli ordini era partita già a fine 2019 (non è stato quindi solo colpa del Covid se gli ordini erano in arretramento),e poi con il COVID si erano evidenziati meccanismi di blocco assai diversi tra loro (scelte diversificate dei vari Governi nazionali da quello liberista di Trump a quelli più ferrei e decisi degli stati europei), che hanno reso complessa e complicata la gestione delle filiere produttive e segmenti industriali ormai sempre più globalizzati (la vicenda delle mascherine ne è stato un esempio), procurando ritardi nelle forniture di semilavorati e chiusure di mercati commerciali. Il terzo motivo è legato alla trasformazione che il COVID comporta (e comportera’) nelle mutazioni dei sistemi produttivi e probabilmente degli stessi sistemi industriali. Questo è il punto vero della discussione; prima di pensare a licenziare bisognerebbe capire quali nuovi indirizzi dare alla nostra economia, in particolare alla nostra manifattura. Su questo punto dai giorni bui della chiusura totale delle attività (che poi totale in verità non fu) stiamo chiedendo e vogliamo sapere se il mondo produttivo ha in mente un modello futuro, magari che riesca a fare tesoro delle stesse esperienze che derivano dal COVID e che sappia recepire le necessità che proprio il COVID ci ha evidenziato. Esempio il RESHORING per accorciare le filiere e mantenere attive le produzioni dei beni essenziali, come quelle legate alla sanità, settore che potrebbe divenire nuovo propulsore di attività economica e produttive ad esso collegate. Modelli industriali che sappiano coniugare i protocolli sulla sicurezza (perché con il contagio bisogna continuare a fare i conti, come pure con la problematica degli infortuni sul lavoro, nuovamente aumentati dopo la ripartenza) con la competizione dettata da industria 4.0, dalla digitalizzazione, elementi di modernizzazione su cui non si può attendere ulteriormente.
Ed è a questo punto che possiamo dare un senso al blocco dei licenziamenti voluto dal Governo; per questi cambiamenti serve tempo, si devono coprire le difficoltà di imprese e lavoratori di questi mesi con gli ammortizzatori sociali (che infatti sono esplosi per quantità di utilizzo e il Governo ipotizza di utilizzare anche i fondi SURE predisposti dall’Europa) ed arrivare al momento giusto con un cambiamento del sistema produttivo già improntato, serve recuperare in pieno le maestranze (valore aggiunto dell’impresa) rimaste provvisoriamente a casa ed avviarci nel 2021, dove tanti economisti indicano esserci i primi segnali di una inversione del PIL mondiale. Allora non serve licenziare, anzi servirebbe dare continuità ai tanti precari dei contratti a termine, serve sicuramente riorganizzare il mondo produttivo, meglio se secondo gli indirizzi strategici che l’accesso ai Fondi del RECOVERY FUND imporrebbero alle politiche dei governi e delle economie che li intendono utilizzare. Digitalizzazione dell’economia, sostenibilità ambientale (noi diciamo anche “soprattutto sociale”ed evitare i possibili fenomeni di “rabbia sociale” che fasi involutive dell’economia fanno spesso esplodere), economia circolare che recuperi lo sperpero di energia e di materiali. Se qualcuno (Confindustria) invece pensa sia giusto accorciare i tempi, mescolare licenziamenti e ristrutturazioni, lancia un messaggio che mi preoccupa perché sembra riproporre un vecchio modo di gestire economia e lavoro, ripresenta un ricetta uguale a quella del pre-COVID, che prevedo riprenda gli stessi meccanismi del vecchio sistema, anche sulla precarietà, sul mancato recupero delle diseguaglianze, sulla debolezza insita nel nostro sistema produttivo, in special modo quello veneto, forte nel produrre per i bassi salari ma debole nella competizione globale. Potremmo cosi’ disperdere quell’incredibile portata di risorse europee che stanno per arrivare nel 2021 , non si aprirebbero direzioni che reputiamo essere indispensabili per una nuova moderna fase economico-sociale, probabilmente non si condividerebbero quegli indirizzi che l’Europa, pur dentro le proprie divisioni interne, è riuscita a definire come strategici ( i processi di digitalizzazione, di ecosostenibilità, di innovazione avanzata).
Infine, dentro questo dibattito un posto di rilievo lo devono avere anche i rinnovi dei Contratti Nazionali scaduti, per Belluno importantissimo quello dell’Occhialeria come quello dei Metalmeccanici; se la scelta che il mondo imprenditoriale vuol realmente fare è quella di concertare il passaggio verso l’innovazione e insieme la coesione sociale, allora non puo’ reclamare libertà di licenziamento, abbinandola alla mancata chiusura dei rinnovi dei CCNL, che sono stati prima frenati dall’avvento del COVID e ora dimenticati sull’altare della mancata ripresa. Anche su questo tema a breve credo sia indispensabile una risposta. La volontà del sindacato, della CGIL, di costruire nel Paese un nuovo modello industriale c’è, che passi soprattutto per il valore del lavoro e dei lavoratori; speriamo esista anche quella degli imprenditori e che quanto troviamo scritto sui giornali locali sia solo uno sfogo eccessivamente ingigantito da un titolo roboante e che comunque ci preoccupa moltissimo.