Nemmeno questa estate la cattiva burocrazia si è presa un periodo di vacanza. Anzi, l’ennesima novità negativa arriva dall’Inps che con un messaggio del 20 luglio scorso (n° 2871) ha chiesto alle imprese di ricevere la comunicazione dello slittamento dei pagamenti contributivi che dovranno essere onorati entro il prossimo 20 settembre. Slittamento, ricorda la CGIA, che il Governo ha introdotto dapprima con il “decreto Liquidità” e successivamente ha modificato con il “decreto Agosto”, per consentire alle imprese di far fronte alla mancanza di liquidità legata alla crisi sanitaria esplosa nel febbraio scorso.
“In una fase come quella attuale – segnala la responsabile dell’area fiscale Stefania Beggio – anziché snellire l’iter burocratico, l’Inps impone un ulteriore adempimento in mancanza del quale le imprese possono subire addirittura una sanzione economica. Una cosa senza senso che sta mettendo in difficoltà imprenditori e addetti ai lavori. Senza contare che il messaggio dell’Istituto previdenziale è arrivato in un momento in cui i tecnici delle associazioni e i commercialisti sono impegnati totalmente sul fronte delle dichiarazioni dei redditi, che mai come quest’anno sono difficili da compilare a seguito delle tante normative fiscali introdotte, soprattutto in materia di bonus”.
Lo slittamento dei pagamenti previsto inizialmente nel maggio scorso, precisa la CGIA, non riguarda però tutte le imprese e i lavoratori autonomi, ma solo coloro che possiedono alcuni requisiti, ed in particolare:
per i soggetti con ricavi o compensi non superiori a 50 milioni di euro nel periodo d’imposta precedente: diminuzione del fatturato o dei corrispettivi di almeno il 33 per cento nel mese di aprile 2020 rispetto allo stesso mese del precedente periodo d’imposta;
per i soggetti con ricavi o compensi superiori a 50 milioni di euro nel periodo d’imposta precedente: diminuzione del fatturato o dei corrispettivi di almeno il 50 per cento nel mese di aprile 2020 rispetto allo stesso mese del precedente periodo d’imposta;
indipendentemente dal fatturato, se si tratta di soggetti che hanno intrapreso l’attività in data successiva al 31 marzo 2019.
“E’ l’ennesimo caso – conclude Stefania Beggio – in cui viene richiesto un adempimento burocratico che innesca dei meccanismi a cascata che producono solo costi e perdite di tempo, in un momento molto particolare che, onestamente, nessuno ne auspicava l’introduzione” .
L’Ufficio studi della CGIA, infine, ha provato a stimare a quanto ammonta il peso della malaburocrazia che grava sulle imprese per province di residenza, calcolando l’incidenza del valore aggiunto sui 57,2 miliardi di euro di costo annuo in capo alle aziende italiane stimato dall’Istituto Ambrosetti. In questa simulazione, ovviamente, risultano essere maggiormente penalizzate quelle realtà territoriali dove è maggiore la concentrazione di attività economiche che producono ricchezza.
La provincia veneta dove il costo annuo sostenuto dalle imprese per la gestione dei rapporti con la Pubblica Amministrazione è superiore a tutte le altre è Verona con 1,034 miliardi di euro. Seguono Padova con 1,032 miliardi, Vicenza con 963 milioni, Treviso con 938 e Venezia con 877 milioni. Le realtà imprenditoriali meno “soffocate” dalla burocrazia sono quelle di Belluno (218 milioni di euro) e Rovigo (197 milioni).