Per allentare la tensione sociale sempre più diffusa in molte categorie del lavoro autonomo, il Governo deve abbandonare la politica dei micro aiuti attuata fino adesso, sostituendola con misure straordinarie in grado di mitigare gli effetti negativi che la crisi pandemica sta producendo. Vista l’urgenza, secondo l’Ufficio studi della CGIA è necessario, ad esempio, “applicare” per l’anno in corso il lockdown alle tasse erariali ed erogare rimborsi più pesanti rispetto a quelli distribuiti fino ad ora. Gli artigiani mestrini stimano in altri 80 miliardi di euro le risorse che il Governo dovrebbe mettere in campo entro la fine di luglio per salvare le attività economiche colpite dalla crisi pandemica. Salvo l’avvento di nuove varianti, grazie alle condizioni climatiche e alla campagna vaccinale, molto probabilmente in piena estate dovremmo essere quasi definitivamente tornati alla “normalità”, ovvero alla situazione pre Covid.
Il lockdown alle tasse costerebbe 28 miliardi
Per evitare che i sostegni che verranno erogati nei prossimi mesi alle imprese siano utilizzati da quest’ultime per pagare imposte e contributi, è necessario “imporre” il lockdown alle tasse erariali, consentendo alle partite Iva e alle piccole imprese di risparmiare quest’anno attorno 28 miliardi di euro. Un importo di dimensioni importanti che, ovviamente, potrebbe essere ridimensionato consentendo l’azzeramento del peso fiscale solo alle attività con ricavi al di sotto di una certa soglia o sulla base della perdita di fatturato. Questo mancato gettito di 28 miliardi è stato stimato ipotizzando di consentire a tutte le attività economiche con un fatturato 2019 al di sotto del milione di euro di non versare per l’anno in corso l’Irpef, l’Ires e l’Imu sui capannoni. Queste aziende, che ammontano a circa 4,9 milioni di unità (pari all’89 per cento circa del totale nazionale), dovrebbero comunque versare le tasse locali, in modo tale da non arrecare problemi di liquidità ai Sindaci e ai Presidenti di regione. Alleggeriti dal peso di un fisco spesso ingiusto, per un anno vivrebbero con meno ansia, meno stress e più serenità. Non solo, ma con 28 miliardi risparmiati metteremo le basi per far ripartire l’economia del Paese.
50 miliardi per rimborsi e la copertura dei costi fissi
Il Premier Draghi l’ha dichiarato nelle settimane scorse: “Questo è un anno in cui non si chiedono soldi, ma si danno”. Un’affermazione condivisibile che l’Ufficio studi della CGIA invita ad attuare in tempi ragionevolmente brevi. Oltre all’azzeramento delle tasse, auspica che l’esecutivo metta sul tavolo almeno altri 50 miliardi di euro entro luglio che consentano di rimborsare in misura maggiore le perdite subite dalle aziende e permettano di compensare anche una buona parte dei costi fissi sostenuti. Modalità, quest’ultima, che la Francia e la Germania hanno applicato da alcuni mesi, avendo recepito le nuove disposizioni introdotte dall’UE in materia di aiuti di stato alle imprese. Costi, quelli fissi (come gli affitti, le assicurazioni, le utenze, etc.) che, nonostante l’obbligo di chiusura e il conseguente azzeramento dei ricavi, le attività economiche continuano purtroppo a sostenere.
Altri 80 miliardi che si sommano ai 65 già stanziati
In questo anno di Covid i governi Conte e Draghi hanno messo a disposizione delle imprese italiane 64,7 miliardi di euro di aiuti diretti. Soldi che in buona parte devono essere ancora erogati. L’Ufficio studi della CGIA stima che fino a ora gli imprenditori italiani hanno beneficiato di 27 miliardi di euro, mentre le risorse ascrivibili alla legge di Bilancio 2021 e quelle riconducibili al “decreto Sostegni” espleteranno i propri effetti principalmente nel corso di quest’anno. Gli 80 miliardi aggiuntivi proposti in questa nota porterebbero l’ammontare dei sostegni diretti alle imprese a una cifra che sfiorerebbe i 145 miliardi di euro. Un importo che inciderebbe meno dell’8 per cento sulla spesa pubblica sostenuta dall’Italia nel biennio 2020-2021.
Il 60 per cento delle piccole imprese è a rischio
Dall’indagine Istat tenutasi verso la fine del 2020, il 62 per cento delle imprese intervistate ha dichiarato che prevedeva una diminuzione dei ricavi anche nei primi 6 mesi del 2021. La crisi, comunque, ha colpito soprattutto le piccole imprese. Quasi il 60 per cento delle realtà imprenditoriali con meno di 50 addetti ha segnalato di essere a forte rischio: gli effetti di questa situazione sarebbero da ascrivere a problemi di liquidità (58,1 per cento) e alla caduta della domanda interna (34,1 per cento). Le difficoltà delle piccole imprese sono presenti in tutti i settori produttivi, ma risultano relativamente più diffuse nelle costruzioni, nel commercio, nella ristorazione, nell’attività di intrattenimento e nei servizi alla persona. La loro distribuzione sul territorio le vede concentrate in particolar modo in 11 regioni: sette sono collocate nel Sud, una nel Nord (provincia autonoma di Bolzano) e tre nel Centro Italia (Lazio, Umbria e Toscana).
Più debito pubblico per salvare l’economia
I dati richiamati più sopra non lasciano dubbi: se non aiutiamo i piccoli imprenditori, questi ultimi rischiano di chiudere definitivamente e con loro una buona parte dei dipendenti privati rischia di trovarsi per strada. Rammentiamo che nelle aziende con meno di 50 addetti lavora, al netto dei dipendenti pubblici e dei servizi finanziari, quasi il 65 per cento circa degli italiani. Se vogliamo aiutare economicamente le imprese non abbiamo alternativa: siamo costretti a “inondarli” con risorse che conseguentemente faranno crescere il nostro debito pubblico a livelli impressionanti (nel 2020 è stato del 155 per cento del Pil). Grazie soprattutto all’azione della BCE, l’attuale situazione è comunque molto diversa da quella vissuta durante la crisi del 2011-2012, dove molti operatori e istituzioni internazionali misero in discussione la solvibilità del nostro Paese. Come abbiamo segnalato più sopra, attualmente il 65 per cento circa del nostro debito è in capo a banche/assicurazioni, famiglie e imprese italiane. Le famiglie, inoltre, tra risparmi finanziari e patrimonio immobiliare possono contare su quasi 10 mila miliardi di euro di risorse. Una cifra superiore a circa 4 volte il valore assoluto del nostro debito pubblico. Questi numeri ci confortano e ci dicono che se vogliamo mantenere in vita le piccole imprese dobbiamo allargare i cordoni della borsa. Scelta difficile da prendere ma obbligata. Nei prossimi decenni infatti il debito pubblico lo riporteremo a livelli accettabili solo tornando a crescere, solo se riusciremo a produrre Pil. Condizioni che si verificheranno se avremo ancora le piccole imprese in vita e in grado di produrre ricchezza ed occupazione.