di Renato Bona
L’elettrificazione della ferrovia bellunese che si avvia a conclusione e della quale di questi tempi parlano i giornali non solo locali mi ha riportato alla memoria, facendomelo poi trarre dalla libreria di famiglia, l’ottimo libro che il maestro e storico Marcello Rosina, autore di numerose pubblicazioni, tutte di pregio, ha realizzato con la splendida serie di immagini della collezione Benito Pagnussat, nell’agosto 1998, con Tiziano edizioni di Pieve di Cadore dal titolo: “Belluno. La crisi dei vagoni”. Lo stesso Rosina, nella presentazione, richiamava la storia delle tratte ferroviarie che, in provincia, è stata sempre scritta con tanta speranza ma non sempre si è potuto tramutarla in realtà. Specificava, dunque: “E’ una storia che parte dal lontano 1838, quando don Natale Talamini (nacque a Pescul di Selva di Cadore il 25 dicembre 1808 e vi morì il 6 aprile 1876, figlio di Bernardo e Bortola Pampanini; dei suoi nove fratelli si citano: Antonio, scultore, e l’omonimo Natale, detto Natalino, pure sacerdote; grazie al riconosciuto impegno a favore della propria terra d’origine, fu eletto deputato: il primo nella storia italiana di origine cadorina, in occasione delle consultazioni del 22 dicembre 1866 – ndr.), spirito lungimirante, ipotizzava ed assecondava il progetto di una strada ferroviaria in terra bellunese”. Per poi aggiungere una serie di date importanti e specificare che: “Risale al 10 novembre 1886 il transito del treno inaugurale che portò viaggiatori e merci da Treviso, attraverso Feltre, fino a Belluno. A quel primo segmento se ne aggiunse un secondo, quello di Belluno-Longarone (8 agosto 1912), poi un terzo, quello di Longarone-Perarolo (16 giugno 1913) ed infine il terminale Perarolo-Calalzo/Pieve di Cadore (18 maggio 1914). Con questa linea, il Cadore poteva segnare ufficialmente il suo ingresso nella rete ferroviaria italiana”. Tuttavia non bastava e nel 1916 venne inaugurata la ferrovia Calalzo-Cortina d’Ampezzo-Dobbiaco “uno dei percorsi più caratteristici ché permetteva di guardare il paesaggio dolomitico mentre le carrozze (con fascia bianca all’altezza dei finestrini ed una azzurra con bordi più scuri, nella parte inferiore della cassa) erano trainate da locomotive dipinte in grigio scuro. Se l’espansione nella parte alta della provincia della ferrovia dovette ritenersi conclusa, nella parte bassa, invece, nel 1924, entrò in funzione la tratta Bribano-Agordo”. E il 24 settembre 1938 “divenne realtà anche il raccordo Vittorio Veneto-Ponte nelle Alpi, ultimo a nascere ma primo ad essere stato concepito perché risale al 6 giugno 1879 il discorso dell’on. Luigi Rizzardi alla Camera dei Deputati, discorso con il quale si caldeggiava la costruzione di quella ferrovia”. Non è finita qui. Rosina richiama infatti la linea che doveva portare da Feltre al Brenta che “ebbe una storia molto travagliata: si partì con un progetto nel 1896 e dopo vari tentativi (otto) questa percorrenza risulta essere ancora catalogata nella serie delle pie illusioni”. E: “Stessa storia toccò al tratto Belluno-Sant’Ubaldo-Susegana, originato da un progetto di massima del 1914 e rimasto inconsolato nel cassetto di qualche scrivania”. Aggiunge poi: “Sembrava godere di più fortuna la linea Villa Santina-Cadore-Toblach, ma dal 1920 “epoca in cui ci si mosse ed allertò tutto il Comelico e la parte a nord di Calalzo sono costretti ad aspettare”. Per affermare infine che “si può giustamente parlare di crisi dei vagoni, crisi che rimane sempre viva in provincia di Belluno”, se, aggiunge Rosina, “Perfino nel prolungamento della Ponte nelle Alpi-Calalzo, verso Cima Gogna, nonostante gli studi risalgano al 1928 e nonostante fosse già stato decretato ancor prima della Grande Guerra, non se ne fece nulla”. Così, “l’ultimo sussulto in materia ferroviaria si ebbe nel 1952 quando si prospettò, viste le ormai vicine Olimpiadi invernali del 1956, la tratta Calalzo-Auronzo-Cortina-Val Marebbe-Brunico. Di quest’ultima idea rimane solamente il piano sulla carta”. Amara la conclusione dello storico cadorino Rosina: “Si può parlare giustamente di una crisi dei vagoni, una crisi che rimane sempre viva in provincia di Belluno. E dire che la ferrovia doveva servire anche a far conoscere questa bellissima terra; a proporre i suoi incantevoli paesaggi, a far conoscere le genti con le loro tradizioni ed i loro usi. All’inizio del secolo tutta la provincia, condensata nei suoi agglomerati urbani, offriva istantanee che, ora, fanno annebbiare il ricordo nella nostalgia…”. Proprio quei ricordi, o almeno una parte di essi, vengono qui riproposti, unitamente ad alcuni esempi dei carteggi prodotti per gli studi delle varie tratte ferroviarie”. Così la chiusura della presentazione: “Tutto è stato tratto dalla inesauribile raccolta di Benito Pagnussat il quale, a Tai di Pieve di Cadore, conserva un meraviglioso forziere, zeppo di immagini d’un tempo ormai quasi dimenticato. Ma il ricordo non ha crisi, e mi auguro che, almeno questo, sia vivo”. Per confermare il malumore generale per la mancanza di collegamenti ferroviari, l’autore propone un passaggio dell’articolo apparso sul numero 23 de “La provincia di Belluno” del 10 febbraio 1872, eccolo: “Noi restiamo allibiti nel mirare una colpevole trascuranza da parte del Governo, verso questa regione nostra orientale che, volere o non volere, è pure importantissima, e da che è riunita alla grande famiglia, non le venne ancora costruito un solo chilometro di ferrovia. Sì, la ferrovia che noi domandiamo, noi la guardiamo non già dal punto di vista provinciale o regionale solamente, ma strettamente ed altamente nazionale”. Poi, doverosamente direi, richiama l’attività di don Natale Talamini scrivendo che il sacerdote propugnava una strada ferrata per le Alpi del Cadore… anticipò e provocò gli studi che fece nel 1865 l’ing. Locatelli per incarico della Congregazione provinciale, sopra una linea per il Cadore, esperimentata in tre passaggi per la Valle del Boite, per Misurina e per Montecroce, studi che si fermarono poi lì. Quindi nel 1886, “quando a Venezia si propugnava la linea della Pontebba e quella della Valle del Brenta e Talamini scrisse un’importante relazione alla Camera di Commercio di Venezia, nella quale con risentite parole faceva le meraviglie perché, tra le linee da discutersi non si avesse presa in considerazione quella del Piave, la quale dal lato nazionale, commerciale e strategico, doveva essere il principale obbiettivo di Venezia e sarebbe stata fra tutte la più utile e la più breve…”. Infine, un riferimento al discorso del deputato Luigi Rizzardi (l’ex sindaco nato ad Auronzo di Cadore il 18 giugno 1831 e mortovi il 5 aprile 1900) del 6 giugno 1879 nella “discussione del progetto di legge per la costruzione di nuove linee di complemento della rete ferroviaria del regno, in cui cercava di dimostrare coi dati che sono segnati, l’utilità della preferenza da darsi alla linea Vittorio-Belluno…”.
NELLE FOTO (P. Breveglieri e riproduzioni dal libro “Belluno. La crisi dei vagoni”): la copertina della pubblicazione di Marcello Rosina; la testata del periodico “La Provincia di Belluno”; progetto di tracciato della Treviso-Belluno per Montebelluna-Feltre e per Conegliano-Ponte nelle Alpi; Colmirano di Alano di Piave con la stazione ferroviaria di Fener e vista della villa dei conti Franzoja-Loschi; scalo ferroviario e caserma Fantuzzi sede a Belluno del 56. Reggimento fanteria; la stazione di Belluno; arrivo di un treno speciale nel capoluogo; ritratto di don Natale Talamini; il deputato Luigi Rizzardi; ancora la stazione bellunese; interno della stazione a Belluno; il grande viadotto sull’Ardo alto 33 metri, lungo la Belluno-Cadore; altri due scorci dello stesso viadotto; sul torrente Desedan il ponte della linea Belluno-Cadore.