VALLE IMPERINA
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Un canto d’acqua mi accoglie mentre mi appresto ad entrare nel mondo silente delle Miniere di Valle Imperina. Aldilà del Cordevole, lungo la S.R. 203, scorre la frenesia del tempo attuale. Aldiquà, invece, quello stesso tempo regredisce all’8 settembre 1962. Ovvero il giorno in cui calò il definitivo silenzio su questo villaggio di minatori. Niente più sferragliare dei carrelli che oggi giacciono muti a lato della strada sterrata. Niente più fischiare dei cavi delle teleferiche. Niente più frastuono di minerale scaricato nei vagoni marchiati S.A.I.F.
“…seven-hundred tons of metal a day
now sir you tell me the world’s changed
once I made you rich enough
rich enough to forget my name…”
Testo e musica di Bruce Springsteen. Parole che hanno il sapore della sabbia che il vento fa alzare dallo spiazzo sterrato che si trova fra i Forni Fusori e l’edificio C.R.A.L.
Ancora mormorare d’acqua che scorre fra le pietre color ruggine. Spettri di minatori osservano il mio camminare fra questi edifici che sono storia. Poi la strada che si inoltra nella valle e lo sfumare del rumore del traffico che scorre indifferente lungo la Regionale. È un passeggiare immerso nei pensieri quello che conduce al portale della galleria Santa Barbara. Un potente scrosciare d’acqua mi accoglie e pare di vederli i minatori fermi nei pressi dell’entrata della miniera. Impegnati nell’accendere la lampada a carburo, intenti nel catturare il colore del cielo che per troppe ore sarebbe diventato soltanto ricordo. E poi ecco il cambio della “sciolta”: uomini impolverati, fradici e sfiniti che rivedono la luce del sole. Altri uomini che invece si calano nei labirintici meandri bui che si inoltrano in questa roccia agordina. Poi il camminare continua sotto un cielo che chiama pioggia. Atmosfera umida e ancora fragore d’acqua del torrente Imperina che scorre diversi metri più in basso. Ruderi di abitazioni e fucine: muri sgretolati e stipiti di porte e finestre che tenacemente resistono all’impietoso scorrere del tempo. Improvvisamente il torrente si ammutolisce: è qui che l’acqua scompare per un tratto andando a scorrere nella galleria “Toso” scavata nella viva roccia. Al termine dell’ultima salita il silenzio: niente cigolare degli argani, niente fiammelle delle lampade a carburo che escono dagli ascensori. È emozionante vivere questo silenzio che racconta le durissime vite dei minatori agordini: all’interno dell’edificio si trova l’ingresso del Pozzo Capitale, ovvero l’entrata principale delle miniere di Valle Imperina. Cammino avanti e indietro sulla piattaforma in cemento dove un tempo alloggiavano i macchinari. Ed è difficile immaginare che sotto i miei piedi, a centinaia di metri di profondità, in un labirintico dedalo di pozzi e gallerie lavorassero degli uomini. Eppure fu così fino a quel giorno d’inizio settembre del 1962. Aldilà dell’alveo quasi in secca del torrente, semi-nascosto dalla folta vegetazione primaverile, un severo occhio scuro mi scruta: è il portale della Galleria Magni. Un pesante cancello di ferro sbarra la porta degli inferi. Mette soggezione quell’occhio austero che sembra volermi interrogare: “…cosa ci fai in questa valle silente, che cosa cerchi in questo pomeriggio di quasi pioggia maggembrina…”. Cerco la storia di quelle vite e di questo luogo di lavoro e fatica. Tocco le pietre, immagino lo sferragliare dei carrelli ed il vociare dei minatori. Lo stridere delle teleferiche ed il frastuono dei frantoi. Poi inizia a gocciolare ed è ora di ritornare nel mondo attuale lasciando questo silenzio carico di storia. Un ultimo sguardo a quegli edifici che narrano di lavoro e “brose” invernali che duravano cinque mesi. Infine l’attraversare il ponte ed il ritornare nell’oggi del piazzale dove si trova parcheggiata la macchina. E prima di ritornare a calcare l’asfalto della Strada Madre, ancora un’occhiata a quel luogo che sa entrare nell’anima e nel cuore per non uscirne mai piu. Ciao Anime di Minatori, a presto miniere di Valle Imperina: tornerò…Magiche Dolomiti!!
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