si va verso la de-industrializzazione di comparti fondamentali, e la “prosecchizzazione” universale non ne è l’antidoto.
BORGO VALBELLUNA Il termine “dramma” non è calato in modo casuale, tale è per gli operai e le famiglie coinvolte che non vedono azzurro all’orizzonte. La vicenda di ACC è giunta alla battute finali: la straordinaria resistenza della “Repubblica Operaia” di Mel sta per cessare. A Belluno forse non c’è adeguata consapevolezza dell’urgenza tremenda di trovare una soluzione. Il dibattito politico, ma anche quello sindacale, hanno forse troppo spesso inseguito la cronaca di una vicenda peraltro piena di colpi di scena come un film horror. E hanno trascurato le questioni-chiave che così riassume Stefano Bona della Fiom Cgil:
“Nel 1979, fu introdotta in Italia con la Legge Prodi l’amministrazione straordinaria per le grandi imprese in crisi: uno strumento diversissimo dalle tradizionali procedure fallimentari, orientate alla tutela dei creditori, perché invece orientato alla tutela della continuità industriale e occupazionale delle aziende. ACC è il primo caso, in oltre 40 anni di storia della Legge Prodi, in cui non vengono messe a disposizione dell’azienda in crisi – come pur la legge prevede – le risorse finanziarie indispensabili per gestirla sino alla sua cessione sul mercato. Le responsabilità della Commissione Europea sono soverchiate da quelle del Governo nazionale, che da 9 mesi esatti ha giurato di trovare una soluzione senza mai riuscirci. Tutti i partiti che siedono nell’Esecutivo Draghi hanno il dovere politico e morale di trovare un rimedio efficace a quelli che lo stesso ministro D’Incà ha definito “gli errori di progettazione” dell’art. 37 del Decreto Sostegni. Hanno solo qualche giorno per farlo”. Non si può ragionare di Mel, e cioè dell’unica fabbrica italiana di compressori, senza parlare di una politica industriale per l’elettrodomestico. E’ un settore in cui l’Italia è stata leader europeo indiscusso fino alla fine degli Anni ‘90: poi è cominciato un declino tanto più profondo quanto più ingiustificato (la Germania per esempio ha ancora insediamenti rilevantissimi nel suo territorio). “Vogliamo – dice Bona – che siamo al centro della grande transizione ecologica e di fronte a una marcata ripresa degli investimenti per l’abitazione, abbandonare una filiera strategica per il Veneto e l’Italia? Ha senso difendere i frigoriferi di Susegana se non si difendono i compressori di Mel, quando le performance ambientali dei primi dipendono dalla tecnologia dei secondi? E vogliamo continuare, con la persistente tempesta in atto nelle catene di fornitura globalizzate, a dipendere per oltre il 90% da importazioni cinesi, rinunciando all’unica seria piattaforma produttiva in Italia e in Europa?” Se il Governo centrale, che in questa vicenda contraddice disastrosamente tutto il bene che sta facendo altrove, alterna solo amnesie e autogol, la Regione Veneto, che invece sta seguendo ACC da anni con passione e con iniziative serie, fino a quando potrà tollerare di veder trascurato e maltrattato un suo patrimonio industriale essenziale per gli equilibri della manifattura bellunese e non solo? “E fino a quando – conclude il sindacalista da sempre in prima linea a difesa dello stabilimento bellunese – potrà essere condannata all’impotenza per l’assenza di rapidi ed efficaci strumenti di intervento (Veneto Sviluppo è uno schioppo-giocattolo per bambini, comparato a Friulia) E’ in queste partite che si vede la vera autonomia: senza una vera politica industriale non si va da nessuna parte”