In questi ultimi 20 mesi la crisi occupazionale provocata dal Covid non ha colpito indistintamente tutti. A pagare il conto più “salato”, purtroppo, sono stati i lavoratori indipendenti1, ovvero gli autonomi e le partite Iva, che dal febbraio 2020 (mese pre Covid), al settembre 2021 (ultimo dato disponibile fornito dall’Istat), sono diminuiti di 327 mila unità (-6,3 per cento).
Diversamente, i lavoratori dipendenti, anche se di poco, sono invece aumentati: sempre nello stesso arco temporale, lo stock complessivo degli impiegati e degli operai presenti in Italia è salito di 13 mila unità (+0,1 per cento). Complessivamente, il gap occupazionale tra il febbraio 2020 e lo scorso mese di settembre rimane ancora negativo.
Intendiamoci, nulla a che vedere con i picchi toccati nella primavera scorsa, comunque l’ ultimo dato disponibile ci dice che lo stock degli occupati presenti nel Paese rispetto al dato pre pandemia è più basso di 314 mila unità (-1,4 per cento) (vedi Tab. 1). A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA.
Va comunque sottolineato che il risultato positivo registrato dai lavoratori dipendenti è ascrivibile a un deciso aumento del numero dei lavoratori a tempo determinato; questi ultimi, tra febbraio 2020 e settembre di quest’anno, sono cresciuti di +108 mila unità; per contro, gli occupati a tempo indeterminato sono diminuiti di 95 mila (vedi Graf. 1).
Molti autonomi potrebbero essere tornati a fare i dipendenti
Se analizziamo l’andamento degli occupati per fasce di età, riscontriamo che in questi ultimi 20 mesi è in calo sia il numero presente nella coorte dei giovani (15-34 anni) sia quello riconducibile alla mezza età (35-49 anni): rispettivamente di 98 mila e di 371 mila unità. Ad aumentare di numero, invece, è stata la platea degli over 50 che in questa fase di pandemia è cresciuta di 154 mila unità (vedi Tab. 2). Premesso che i dati Istat non consentono di decifrare l’andamento dei flussi in entrata/uscita registrati in questo arco temporale, questo incremento potrebbe essere ascrivibile al fatto che molti autonomi e altrettanti collaboratori familiari o soci di cooperative di una certa età abbiano chiuso la propria posizione Inps; successivamente sono rientrati nel mercato del lavoro come dipendenti, sfruttando l’esperienza e la professionalità acquisita in tanti decenni di onorata carriera.
Soffrono ancora le città d’arte
Ad aver patito maggiormente gli effetti della crisi sono state le città d’arte. Anche in questi ultimi mesi di riapertura totale, in queste realtà urbane le difficoltà rimangono. L’Ufficio studi della CGIA ricorda che stiamo parlando di città che sono delle vere e proprie eccellenze nei settori della moda, del gioiello e dell’artigianato di qualità; tutti comparti che, in genere, costituiscono un’importante attrazione turistica per il nostro Paese. Queste attività di alta gamma beneficiano dei medesimi flussi turistici che sostengono le attività ricettive, i pubblici esercizi e il trasporto pubblico locale (taxi e noleggio con conducente), con i quali spesso si sviluppano sinergie importanti.
In città come Firenze e Venezia, ad esempio, il giro d’affari di queste attività commerciali-artigianali dipende, in media, almeno per il 60-70 per cento dagli acquisti dei turisti stranieri, soprattutto di provenienza extra UE che in questi ultimi 2 anni sono mancati totalmente; pensiamo al crollo del turismo croceristico che ha messo a repentaglio migliaia e migliaia di posti di lavoro. Pertanto, è necessario un intervento per “tappare” una crisi apparentemente infinita che sta gravemente compromettendo non solo le imprese della ricettività, del trasporto locale e dei servizi turistici, ma anche ristoranti, botteghe e negozi delle mete culturali e dei centri storici, rimasti ormai senza “fiato”. Imprese che devono essere sostenute più a lungo, con contributi a fondo perduto, ammortizzatori sociali e credito di imposta per gli affitti.
Si istituiscano tavoli di crisi
Da almeno sei mesi la CGIA chiede sia al Governo che ai governatori di aprire un tavolo di crisi permanente a livello nazionale e regionale. Mai come in questo momento, infatti, è necessario dare una risposta ad un mondo, quello delle partite Iva, che sta vivendo una situazione particolarmente delicata. Intendiamoci, nessuno è in grado di risolvere i problemi con un semplice tocco di bacchetta magica. Altresì, non dobbiamo nemmeno dimenticare che in questo ultimo anno e mezzo oltre ai ristori (ancorché del tutto insufficienti), gli esecutivi che si sono succeduti hanno, tra le altre cose, approvato l’Iscro, esteso l’utilizzo dell’assegno universale per i figli a carico anche agli autonomi ed è stato introdotto il reddito di emergenza per chi è ancora in attività. Tutte misure importanti, ma insufficienti ad arginare le difficoltà emerse in questi mesi di pandemia.
A rischio la coesione sociale
E’ importante ribadire che i negozi di vicinato e le tante botteghe artigiane presenti nel Paese hanno bisogno di sostegno perché garantiscono la coesione sociale anche del nostro sistema produttivo. Con meno serrande aperte le città e i nostri quartieri sono meno vivibili, più insicure; inoltre è a rischio la qualità del nostro made in Italy. E’ altresì necessario coinvolgere il Ministero dell’Istruzione affinchè attivi quanto prima una importante azione informativa/formativa nei confronti degli studenti delle scuole medie superiori che li sensibilizzi in particolar modo su un punto; una volta terminato il percorso scolastico, nel mercato del lavoro ci si può affermare anche come lavoratori autonomi.
Le filiere più colpite
Pur essendo ancora prematuro indicare con precisione le attività che hanno subito maggiormente gli effetti negativi della crisi pandemica, i settori che ancora adesso rimangono in difficoltà sono parecchi. Oltre alle imprese del tessile, abbigliamento e calzature, che nel manifatturiero continuano ad arrancare, perdurano le difficoltà nei servizi, nel terziario e nel commercio al dettaglio. Sebbene da qualche mese siano state riaperte tutte le attività, secondo una prima stima dell’Ufficio studi della CGIA le filiere ancora in difficoltà che non includono il settore ricettivo sono:
eventi (congressi, matrimoni, cerimonie, etc.);
fieristi (ambulanti, food street, etc.);
trasporto persone (taxi, noleggio con conducente, trasporto marittimo);
sport e intrattenimento (parchi divertimento, spettacolo viaggiante, discoteche, etc.);
attività culturali e spettacolo (cinema, teatri, musei);
commercio al dettaglio (abbigliamento, calzature, cartolerie, librerie, etc.);
liberi professionisti.
Le cause di questa moria e il boom dell’edilizia
Tradizionalmente le micro imprese soffrono un eccessivo carico di tasse, burocrazia e la cornica mancanza di liquidità. Le chiusure imposte per decreto, le limitazioni alla mobilità, il crollo dei consumi delle famiglie e il boom dell’e-commerce registrati in questi 20 mesi hanno aggravato la situazione di tanti autonomi; per molti non c’è stata altra scelta se non quella di chiudere definitivamente l’attività. Queste micro realtà, rammentiamo, vivono quasi esclusivamente di domanda interna, legata al territorio in cui operano. Ipotizzare un nuovo lockdown in vista del prossimo Natale sarebbe una sciagura che, salvo un drammatico peggioramento della situazione epidemiologica, deve essere assolutamente evitata. A differenza di tutti gli altri settori, l’edilizia, invece, sta vivendo un momento di grande espansione. Grazie alla messa di bonus introdotti in questi ultimi anni (110 per cento, facciate, sisma, ristrutturazione e riqualificazione energetica), il comparto sta registrando numeri estremamente positivi che potrebbero però alimentare una bolla con conseguenze molto negative anche per i settori collegati (cemento, laterizi, ferro, acciaio, etc.). Tuttavia, rimane sempre valido il principio che quando si abbassano le tasse, la ripresa non tarda ad arrivare.