di RENATO BONA
Sabato 27 novembre 1976, nella veste di presidente dell’Associazione Stampa Bellunese presiedevo nel salone della Camera di commercio, industria ed agricoltura il convegno-dibattito che i giornalisti avevano organizzato sul tema: “Alluvione, 10 anni dopo: problemi e prospettive”. All’evento seguì con la tipografia Piave (ed il contributo della Cassa di risparmio di Verona, Vicenza e Belluno), la stampa di un libro di quasi 160 pagine con gli interventi di quanti avevano voluto esprimere il loro punto di vista sul problema e con diverse fotografie di Zanfron e Frescura. Nel libro c’erano gli interventi di: Libero Accorsi, pubblicista; Tullio Bettiol, consigliere regionale; Renato Bona, giornalista professionista; Giovanni Bortot, assessore della Comunità montana bellunese; Alfredo Comis, vice sindaco di Santo Stefano di Cadore (intervenuto anche in rappresentanza di San Pietro di Cadore); Romolo Dal Mas, sindaco di Belluno; Luigi D’Alpaos, ingegnere; Armando Da Roit, presidente della Comunità montana Agordina; Felice Dal Sasso, consigliere regionale; Luigi De Fanti, sindaco di Forno di Zoldo; Giovanni De Pra, rappresentante di Federbraccianti; Valentino Giacobbi, presidente dell’Azienda turismo di Pieve di Cadore; Adolfo Molinari, consigliere regionale; Gianfranco Orsini, deputato; Mario Paolini, presidente della Provincia di Belluno; Roberto Piccoli, ingegnere; Gaetano Pigozzo, consigliere regionale; Giuseppe Salerno, ingegnere capo del Genio civile di Belluno; Gianni Sartorel, segretario generale della Cisl bellunese; Lino Sief, capo del Ripartimento Forestale; Carlo Simonetti, presidente della Comunità montana Basso Cadore, Longaronese, Zoldano; Gildo Tomasini, ingegnere; Alvaro Valdinucci, del Servizio geologico di Stato di Roma; Dario Vascellari, assessore comunale a Calalzo di Cadore; Ferruccio Vendramini, pubblicista e storico. E un documento di protesta dei giornalisti bellunesi (diffuso anche dall’agenzia Ansa) in cui si esprimeva “Delusione e amarezza perché i programmi a sostegno e difesa della montagna e dei suoi precari equilibri idrogeologici non si sono ancora tradotti in interventi organici e coordinati, relegando quest’area in un quadro di sviluppo complessivamente marginale e subalterno”. Il documento (che era stato inviato al Presidente della Repubblica, agli onorevoli Andreotti, Fusaro, Orsini, Milano, Riva, ai consiglieri regionali Bettiol, Dal Sasso, Molinari e Pigozzo, al Prefetto di Belluno e ai presidenti della Provincia e delle Regioni Veneto e Toscana) muoveva dal fatto che il Gonfalone della regione Toscana è stato insignito della medaglia d’oro al valor civile per la prova collettiva di civismo e difesa morale dimostrata da quell’intera popolazione in occasione delle alluvioni e manifestava il rammarico e lo stupore perché meriti identici a quelli riconosciuti alla popolazione toscana non sono stati riconosciuti anche a Belluno, terra già provata dalla catastrofe del Vajont, che tanto ha dato alla rinascita del Paese e alla formazione delle sue istituzioni democratiche. A 55 anni dalla rovinosa alluvione ci è parso utile ricordare quel convegno e le sue conclusioni ed abbiamo anche colto l’occasione per rifarci ancora una volta al libro del Club Unesco Agordino “Una finestra su Riva” ed in particolare al capitolo intitolato “Alluvione del 1966” per proporre la serie di immagini che Giuliano Laveder e colleghi del benemerito sodalizio avevano raccolto per dare un quadro sia pure parziale di quanto avvenne allora anche nel territorio di Rivamonte Agordino. La prima immagine (oltre a quelle della copertina del libro “Alluvione, 10 anni dopo: problemi e prospettive”, del tavolo della presidenza del convegno bellunese con, da sinistra: i giornalisti Giuseppe Sorge, Renato Bona, Ferruccio Vendramini, Italo Salomon, e quella degli intervenuti) ha una lunga dicitura che ricorda: “L’alluvione non ha risparmiato nessuna frazione di Rivamonte: a Zenich alle 7 del mattino una frana ha completamente travolto la stalla di Luigia Sommariva, con il bestiame al suo interno; alle 10 la strada “Nuova” che porta alla chiesa viene bloccata dai detriti, si interrompono le comunicazioni telefoniche; a Rosson l’acqua dei Foss la fa da padrone; nella Valle dei Tos il muraglione di sostegno della strada cede; Sót i Théi molte sono le abitazioni scoperchiate dalle forti raffiche di vento; a Ponte Alto un tratto della strada che conduce alle miniere viene completamente inghiottito, come pure il Ponte del Cristo e quello sull’Imperina”. Seguono immagini della frazione Villagrande: “Burèla-Falegnameria Thèleste: a sinistra con la carriola Giovanni Taio (Chip) e sullo sfondo Gino Schena; la “Casa di Abele”; il tempo inclemente non ha risparmiato gli abitanti “regalando” abbondanti nevicate e causando ulteriori disagi alla popolazione; “davanti alla casa di Cesare Gnech e del Paolinét”; “casa di Vittoria e Mario Gét; “negozio del Tuli”; a seguire: la casa di Dario Santel, gli effetti dell’alluvione con tre foto del disastro; la forza dell’acqua può davvero trasportare di tutto; il negozio della Nòthi e del Tinòl: una panoramica post-alluvione; dettaglio dei danni; via Burèla: la falegnameria del Thelèste; ancora Villagrande; scorcio davanti al Nin Baga; di nuovo Villagrande. In conclusione, a chi ha steso queste note resta da ribadire un concetto espresso in apertura del convegno di allora: “L’alluvione, è chiaro, non è colpa imputabile ad alcuno; non così si può sempre dire per le conseguenze. La difesa dalle furie delle acque, la regolamentazione di fiumi e torrenti, l’approntamento di opere di difesa non sono un ‘di più’: devono diventare un vero e proprio servizio sociale che deve essere garantito ad ogni costo. Perché è una questione nazionale, visto che ne vanno di mezzo la sicurezza della casa, del lavoro e, troppo spesso, la vita dei cittadini”.