GIORNI DI GHIACCIO
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Lui, prima di passarci sopra, riusciva a vederlo il ghiaccio sull’asfalto dell’allora S.S. 203 Agordina. Anche quando era appena accennato e non era la classica “brosa” di quei lontani inverni. Io non vedevo nulla, lui sì. Era dai Santi che partiva ogni volta questa frase che si ripeteva come un mantra fin oltre la metà di marzo: “…de inte de La Muda la sarà giazada…”. Vabbé, anche se ero inesperto, in verità ogni tanto lo capivo anch’io che c’era la brina. Spesso, già ai primi di novembre, i tetti delle case erano già ricoperti da un dito di bianchissima “brosa”. Così potevo affermare con consumata sicurezza che “…le tut ingiazà…”. E lui rispondeva “…sì, ades ocor sta su co le rece…”. Altre volte, invece, la strada mi pareva perfetta eppure il mantra arrivava comunque: forse era una sorta di training autogeno, oppure era un modo per farmi capire dei concetti che mi sarebbero serviti quando quegli inverni sarebbero diventati “i miei inverni”. Era un ghiaccio bastardo quello che io non vedevo ma che lui invece conosceva bene. Lo si trovava dopo il ponte del Torner, alla Cantoniera dei Castei e poi “…el pedo le inte al Pont del Cristo, là le al puster…”. Alle Miniere, già ai primi di novembre, era inverno profondo, ed anche se non aveva nevicato, lì era ugualmente tutto bianco. Di “brosa”. Mi diceva di “sentirla” sul volante che pareva essere diventato una sorta di strumento per rabdomanti del ghiaccio. Io ovviamente non potevo sentirla quella brina invisibile, però mi fidavo del rabdomante del gelo sul manto stradale. Forse era una dote innata, oppure era frutto dell’esperienza di inverni che erano inverni duri, di gomme da neve che non esistevano e di auto a guida analogica. Poi passarono un bel pò di anni, e sul sedile di sinistra mi ci sedetti io. Che tanto la Panda 750 CL aveva le gomme chiodate e su asciutto e bagnato era da ammazzarsi, ma sulla “brosa” erano un’arma imbattibile ed alle Miniere passavo in completa tranquillità, anche quando la strada era completamente imbiancata. Eppure, il mantra del rabdomante del ghiaccio, era sempre ben presente nella mia testa, in tutti i “viaggi” autunno-inverno sulla Strada Madre. Poi arrivò la notte di Capodanno del 2010. Non avevo più la Panda 750 CL bianca come la “brosa”. Guidavo la mitica Cinquecento Sporting blu che per alcuni era viola. Era all’ultimo dei suoi tanti inverni, ed insieme, quella notte, avevamo iniziato il 2011 con una divertente salita-discesa del passo Duran pieno di neve. Erano quasi le cinque del mattino, c’era parecchio freddo e stavo ritornando a casa dopo la festa a Zoldo. Superai tranquillamente le curve di Ponte Alto e poi imboccai la discesa delle Campe. Scendevo abbastanza piano e nel mentre mi venne in mente il mantra del rabdomante del ghiaccio della 203. Rallentai ulteriormente, e fu la prima fortuna. La seconda fu che la strada era deserta. Arrivai alla fatidica curva del “Locomotore” e gli abbaglianti fecero scintillare quel ghiaccio bastardo. Una frazione di secondo e la cinquina prese ad andare per gli affari suoi. Mi vidi arrivare incontro il bel muro di pietre sapientemente squadrate. È sorprendente, a volte, scoprire quanto il cervello sappia viaggiare veloce: “…Paolo non guardare il muro altrimenti lo centri, punta lo sguardo sulla strada. Poi un controsterzo da un giro di volante e, determinante, giù quasi tutto l’acceleratore. Che è la parte più difficile della storia. È contro natura accelerare mentre si sta andando a sbattere. Eppure in quei frangenti dicono si debba fare così. Forse è pure una sorta di metafora della vita. Chissà. In quel frangente uscì la mia quindicinale esperienza di guida invernale mixata con quella ben più lunga del rabdomante del ghiaccio sull’asfalto. Ripresi la lunga sbandata che poi furono due perché la macchina “spendola” pressoché sempre in questi casi. Pensi di avercela fatta e poi sbatti dall’altra parte. La parecchia neve incontrata durante i primi anni di patente aveva insegnato per bene, così, dopo aver illuminato con i fari gli antichi edifici delle Miniere, mi raddrizzai definitivamente ed in mezz’ora arrivai a Belluno sano e salvo. Iniziò così il 2011, e per il resto fu un bell’anno. Ancora oggi il rabdomante del ghiaccio predica il suo mantra autunno-inverno, ed ancora oggi, quel mantra, è sempre bene impresso nella mia mente ogni qualvolta percorro quella Strada Madre che è intreccio indissolubile di storie “brose” e pensieri.
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