Anche in Veneto il numero di denunce con esito mortale è in crescita. Se, secondo i dati Inail, tra gennaio e ottobre 2020 le morti nei luoghi di lavoro erano state 71, nello stesso periodo di quest’anno sono salite a 89. Certo, nel confronto bisogna tener conto che a causa del Covid nel 2020 moltissime attività produttive erano state costrette a chiudere per molti mesi, tuttavia sono tragedie che sembrano non avere fine e, talvolta, “avvengono” perché strettamente collegate al lavoro irregolare.
Ancorché in Veneto il fenomeno abbia dimensioni molto contenute, l’Ufficio studi della CGIA segnala che dei 206.500 lavoratori in nero presenti nella nostra regione, quelli sfruttati da caporali o da organizzazioni criminali sono una piccola minoranza. Questo, ovviamente, non deve indurci a sottovalutare la gravità anche di questo drammatico fenomeno nel quale i lavoratori sono sottoposti a condizioni degradanti e disumane da parte di pseudo-imprenditori che agiscono, nei campi e talvolta anche nei cantieri, con modalità criminali. Anche perché, pur non essendoci dati in grado di dimostrarlo, a seguito della crisi pandemica la situazione è in deciso peggioramento. Pertanto, anche la stima dell’Istat, che segnala in 3,2 milioni i lavoratori irregolari presenti nel Paese, di cui 206.500 nella nostra Regione, è quasi certamente sottodimensionata.
A Verona e Treviso il numero di morti più alto
Se in Veneto l’economia sommersa è contenuta, i decessi nei luoghi di lavoro continuano ad essere troppi e tutto ciò non è più accettabile; ovviamente anche un solo morto costituirebbe un dramma, ma 89 sono una tragedia immane. Per quanto concerne la distribuzione degli incidenti mortali avvenuti a livello provinciale, la situazione più critica si registra a Verona: nei primi 10 mesi di quest’anno, le morti bianche avvenute nella provincia scaligera sono state 21: seguono Treviso con 17, Padova e Venezia con 15, Vicenza con 10, Rovigo con 6 e Belluno con 5. Preoccupante il trend verificatosi in particolar a Padova: se l’anno scorso nei primi 10 mesi i decessi erano stati 9, quest’anno sono saliti a 15 (+66,6%) (vedi Tab. 1).
Oltre alla tragedia dei morti c’è anche la piaga del “nero”
Oltre alle tragedie che si consumano nei luoghi di lavoro, non va nemmeno dimenticata la piaga sociale dell’economia sommersa. Tuttavia, è bene sottolineare che la maggioranza di chi lavora irregolarmente è costituita, in particolar modo, da persone molto “intraprendenti”, che ogni giorno si recano nelle abitazioni degli italiani a fare piccoli lavori di riparazione, di manutenzione (verde, elettrica, idraulica, fabbrile, edile, etc.) o nel prestare servizi alla persona (autisti, badanti, acconciatori, estetiste, massaggiatori, etc.). Un esercito di “invisibili” che, ovviamente, non sono alle “dipendenze” né di caporali né di imprenditori aguzzini ma, attrezzati di tutto punto, si spostano in maniera del tutto autonoma e indipendente, provocando danni economici spaventosi. Questi lavoratori irregolari sono in gran parte costituiti da pensionati, dopo-lavoristi, inattivi, disoccupati o persone in Cig che arrotondano le magre entrate con i proventi recuperati da queste attività illegali.
Campania, Calabria e Sicilia sono le realtà dove l’economia sommersa è più diffusa
Il lavoro nero presente in Italia “produce” ben 77,7 miliardi di euro di valore aggiunto di cui 5,5 miliardi sono ascrivibili al Veneto. Una piaga sociale ed economica, sottolinea l’Ufficio studi della CGIA, che, a livello territoriale, presenta differenze molto marcate. La Lombardia, ad esempio, sebbene conti oltre 504 mila lavoratori occupati irregolarmente, è il territorio meno interessato da questo triste fenomeno: il tasso di irregolarità è pari al 10,4 per cento, mentre l’incidenza del valore aggiunto prodotto dal lavoro irregolare sul totale regionale è pari al 3,6 per cento; il tasso più basso presente nel Paese. Subito dopo scorgiamo il nostro Veneto (con un’incidenza del 3,7 per cento), la provincia Autonoma di Bolzano (3,8) e il Friuli Venezia Giulia (3,9). Per contro, la situazione più critica si registra nel Mezzogiorno. In Calabria, ad esempio, a fronte di “soli” 135.900 lavoratori irregolari, il tasso di irregolarità è del 22 per cento e l’incidenza dell’economia prodotta dal sommerso sul totale regionale ammonta al 9,8 per cento. Nessun’altra realtà territoriale presenta una performance così negativa. Altrettanto critica è la situazione in Campania, dove gli oltre 361 mila occupati non regolari provocano un tasso di irregolarità del 19,3 per cento e un Pil da “nero” sul totale regionale dell’8,5 per cento. Preoccupante anche la situazione in Sicilia: a fronte di quasi 283 mila lavoratori in nero, il tasso di irregolarità è al 18,7 per cento e il valore aggiunto prodotto dall’economia sommersa su quello ufficiale è del 7,8 per cento.
A livello nazionale, infine, all’inizio del 2019 l’Istat stimava in poco più di 3,2 milioni di persone che quotidianamente per qualche ora o per l’intera giornata si recavano nei campi, nelle aziende, nei cantieri edili o nelle abitazioni degli italiani per esercitare un’attività lavorativa irregolare. Siamo propensi a ritenere che a seguito della crisi pandemica – che ha provocato un aumento della disoccupazione, dei lavoratori in Cig e un impoverimento generale delle fasce sociali più deboli – il numero dei lavoratori irregolari presenti nel Paese sia aumentato in misura importante (vedi Tab.2).
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