IL RITORNO
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La partenza da Cencenighe in direzione Belluno era fissata per le sette del lunedì mattina. Il bagagliaio della Ritmo riempito la sera precedente di valigie e malinconia, con la campana grande che annunciava l’inizio di un nuovo giorno e pure il nostro partire; vacanze estive terminate e una manciata di giorni all’inizio della scuola. Un bel momento tutto da vivere. Sotto casa ci aspettava un clima fresco d’inizio settembre, con il sole che ancora dormiva dietro il Pelsa e la poca voglia di andare. Traffico scarso lungo la Strada Madre, che le valli si erano svuotate e i turisti ormai erano ritornati a vivere le proprie routine cittadine. Trentacinque minuti più tardi l’arrivo in città, con papà che faceva immediatamente rotta verso il lavoro ed io che invece aprivo casa insieme alla mamma. A Belluno era ancora estate, con il sole già alto alle otto e una calura che chiamava in fretta i pantaloncini corti. Aria di chiuso in casa e il primo pane da andare a comprare, poi un paio di telefilm e successivamente l’uscire ad annusare la situazione nel quartiere. Osservavo i cortili ora quasi pieni di auto parcheggiate, e pensavo che quasi tutti avevano fatto ritorno in patria; e chissà, probabilmente avrei trovato qualche amico con cui giocare la prima partita settembrina di calcio. E correva veloce la Graziella rossa uscendo dal cortile, iniziando una metodica perlustrazione di strade e piazzali, di cortili e di prati. Qualche roulotte era ritornata al proprio posto abituale, quasi tutte le persiane erano alzate e l’aria sapeva d’inizio settembre mentre tentavo di udire qualche voce amica. Ed ecco che, finalmente, da uno dei cortili del quartiere, delle grida conosciute mischiate a potenti rumori metallici causati dalle pallonate contro i portoni dei garage, annunciavano la ritrovata compagnia di giochi. Un semplice ciao e poi, dopo l’ennesimo “fare le squadre”, via a giocare, cercando di assaporare quel tempo prezioso di vacanze ormai al termine. E quel caldo d’inizio settembre, in certi momenti regalava ancora la spensieratezza dell’estate e nei momenti di pausa fra una partita e l’altra, ognuno raccontava la propria vacanza. Qualcuno era stato un mese al mare, altri invece solamente una settimana. E poi il resto del tempo l’avevano trascorso nella piccola città tranne nei fine settimana, in occasione delle classiche gite fuoriporta. E mentre ascoltavo il raccontare di quella Belluno d’estate, mi girava in testa la canzone, cantata da Celentano, che si intitola “Azzurro”; dove il protagonista trascorreva la stagione del solleone in una città semivuota, dove non c’era nemmeno un prete per chiacchierare. La immaginavo così la Belluno estiva, e in effetti si presentava davvero così allora, e ne avevo conferma in quelle rare occasioni in cui si scendeva dall’agordino e si trascorreva un giorno in quella città troppo calda e troppo vuota di amici. Ora invece i compagni di giochi e di vita erano tutti presenti, e prima di cena ci si salutava dandosi appuntamento per il mattino successivo. Alla sera ormai non si usciva più causa il deciso accorciarsi delle giornate, ed era un’altra campana, quella dal suono malinconico e lontano della chiesa di San Gervasio, a suonare l’Ave Maria spargendo i suoi acuti rintocchi nel buio di viale Europa. Cinque o sei giorni vissuti così, nell’illusione che quel tempo sospeso di inizio settembre potesse durare più a lungo. E invece, ineluttabile arrivava il momento in cui la cartella lasciata ai piedi del letto, si sarebbe riempita di quaderni delle Regioni d’Italia e di scatole di pennarelli nuovi. E poi il sussidiario, il libro di lettura e la merendina che finiva sempre schiacciata ma che sarebbe stata ugualmente una bontà da assaporare a metà mattina. Una notte insonne e poi il camminare lungo via Feltre con il grembiule super stirato e la “sportola” con le pantofole nuove. Ed improvvisamente lo si percepiva nell’aria quell’autunno che ormai era certezza e che avrebbe rimpiazzato un’estate che sarebbe stata ricordata per sempre. Nel grande cortile delle scuole Gabelli ecco il ritrovare i vecchi compagni di classe; due calci alla pallina da tennis mentre si attendeva il suono della prima campana e poi il via ufficiale al nuovo anno scolastico. L’appello e il classico tema “Racconta le tue vacanze estive”; e quattro pagine di quaderno avrebbero raccontato del mio vivere d’estate all’ombra del Pelsa, dove la campana batteva le ore anche di notte.
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