di RENATO BONA
Correva l’anno 1989 e, in occasione della manifestazione “Europa in zattera”, Gianluigi Secco ideò e realizzò, con il patrocinio dei Comuni di Belluno (sindaco Giovanni Crema), Ponte nelle Alpi (Giovanni Bortot), Castellavazzo (Valerio Zanne), Longarone (Gioacchino Bratti), nonché del presidente della Comunità montana Bellunese (Luigi Reolon) e di quello della Comunità montana Basso Cadore-Longaronese-Zoldano (Giovanni Boni) e dell’Azienda di promozione turistica delle Prealpi e Dolomiti Bellunesi, una rivista in cui si illustrava l’iniziativa dell’incontro di zattieri e di genti di vari Paesi che “fa sperare che le innumerevoli vicende dei popoli della terra suscitino crescente interesse e conoscenza per un sempre più rispettoso e pacifico vivere comune”. Oltre a quello riservato ad una sintetica storia di Belluno capoluogo, ad “Europa in Zattera”, alla illustrazione di “La Piave fiume antico”, alla “Menada” ovvero la fluitazione dei tronchi lungo la Piave, alle due tappe con le zattere: da Perarolo a Belluno e da Belluno alla pianura, alla sorprendente presenza di ex voto sul fiume, a pillole di storia del Museo etnografico degli Zattieri del Piave, e all’illustrazione – a cura del sindaco del capoluogo, Giovanni Crema – di una prestigiosa figura artistica quale era Paolo Cavinato, che esponeva alla Crepadona, Gianni Secco dava ampio spazio a “Maschere e Riti”. Di cosa si trattava? Della mostra, dallo stesso titolo, allestita a Palazzo Crepadona dal 14 gennaio al 5 marzo di quello stesso anno prima che fosse trasferita a Cencenighe Agordino (dall’8 luglio al 27 agosto) a cura della Comunità montana Agordina) e poi a Venezia per il Carnevale del 1990. La pubblicazione – con disegni di Franco Fiabane – rammentava che “la mostra ha occupato il porticato sul cortile interno e i due loggiati di palazzo Crepadona” e che “i personaggi, rappresentati in grandezza naturale, sono stati 27, con costumi realizzati nei paesi di origine”. Ancora: “La coreografia ricordava felicemente l’ambiente dolomitico, ogni personaggio era commentato in lingua tedesca, inglese e italiana su apposite gigantografie, in bacheca risultavano esposti una trentina di volti lignei di diversa provenienza”. Ma non solo: “La radicata tradizione carnevalesca tra i monti bellunesi era illustrata in numerosi dipinti di artisti celebri: da Simonetti a Tomea, ai contemporanei Nevyiel, Fiabane, Calabrò e molti altri. Due documentari video realizzati dal Centro studi e documentazione riti e carnevali, a cura dell’associazione culturale “Amici del Borgo”, accompagnavano il visitatore verso una completa comprensione del significato dei riti”. Alla fine risultò che in quaranta giorni la mostra era stata visitata da circa quindicimila persone e la Rai aveva dedicato oltre tre ore ai carnevali bellunesi tra dirette e servizi speciali. Dunque un autentico successo come confermava il fatto che la rassegna era stata richiesta in uso da importanti città italiane e straniere a conferma che “Il Carnevale alpino è festa di importanza fondamentale nella tradizione arcaica… le maschere sono la voce dell’umanità impetrante. La numerosità dei personaggi del corteo carnevalesco propone identità di tensione di tutte le forze universali. Con maschere del bene, belle, di fattura preziosa in ogni particolare, e maschere brutte, espressione simbolica della miseria e della congenita malvagità umana, procedendo assieme per testimoniare il richiamo”. I Belli recano simboli di vita, corrtono e saltellano continuamente facendo risuonare file di campanelli, vestono nastri e fazzoletti sgargianti, indossano oro e oggetti preziosi, portano in mano doni e rami ingemmati o fiori. I Brutti recano invece i segni dell’addio, del distacco, del passato, dell’inutilità… Concludiamo questa rivisitazione carnevalesca citando: “Serafic” di Falcade; “Zinghenesta” di Canale d’Agordo;: “Gnaga” di Zoldo; Om Salvarech di Rivamonte Agordino, “Matazin” del Comelico; “Matacink di Laste e Sottoguda dell’Alto Agordino; “Roncel”, “Rollate” di Sappada; “Ber”, “Ganga” e chissà quanti ne abbiamo scordati (e ce ne scusiamo)…