LA LEVINA
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Era arrivato l’anno nuovo e come da tradizione ero salito sulla cima del monte ad attendere il primo tramonto del 2023. C’era un gran silenzio e nemmeno un filo di vento e si respirava quell’atmosfera stanca e tranquilla classica del primo gennaio. A Cencenighe, laggiù in basso, era quasi sera e le poche auto che circolavano lungo la Strada Madre avevano già i fari accesi; soltanto le cime erano ancora illuminate dall’affaticato sole d’inverno. Era un lento approssimarsi di un tramonto sereno, solo qualche nuvola veleggiava tranquilla in alto sopra le cime; non c’era sentore di neve imminente e nemmeno quel ghiaccio severo che solitamente indurisce il terreno e fa scintillare le foglie morte dei faggi che riposano a terra. Tutto era immobile intorno mentre il giorno stava iniziando il suo congedo ed io, perso nei miei pensieri stavo guardando le montagne quando all’improvviso un colpo secco e potente ha squarciato quel profondo silenzio d’inverno. Non era un botto ritardatario di capodanno, era molto di più, ed era un rumore familiare già sentito parecchie volte. Sapevo già dove guardare, e appena girato lo sguardo alla mia sinistra l’ho vista; eccola la “levina”. Una cascata di neve scendeva da circa metà parete per poi perdersi nel canalone della Val Granda. La neve, che fino a poco prima era adagiata su di un terrazzo posto a metà della grande muraglia, ora stava compiendo uno spettacolare salto; niente a confronto di quello che compie la grande valanga, quella che parte sotto il Mont’Alt, che quando la neve in quota è davvero tanta termina la sua corsa addirittura nel Cordevole. Oggi è raro che ciò accada, perché nevica meno di un tempo e di conseguenza i “levinai i sà imboschì” andando così ad impedire il deflusso della neve. Un paio di minuti, poi anche sulla parete del Pelsa è ritornata la quiete di gennaio. Accadrà che nevicherà, e lassù le banche del Pelsa si trasformeranno in una grande spianata bianca che ricoprirà mughi e rocce, e al termine delle nevicate scenderà ancora qualche cascata di neve. Ma sarà alla fine di aprile, al tempo in cui i larici si risvegliano dal lungo sonno invernale, che quella neve inizierà ad essere stanca di stare lassù. Accadrà sul Pelsa, ed anche sulle Pale, che durante un primo pomeriggio pieno di sole, si sentiranno dei boati ancora più potenti che scuoteranno la valle. E scenderanno potenti e scintillanti le “levine”, illuminate dall’allegro sole di primavera. Sarà frastuono che affascina e inquieta, e se la neve sarà tanta sarà pure il crack secco degli alberi spezzati dalle grandi masse di neve. Si riempiranno i “levinai”, e i lunghi serpenti bianchi rimarranno fino ad inizio estate a ricordarci quanto sono lunghi gli inverni quassù. Al calare della sera ho lasciato il bosco silente ed ho imboccato il ripido sentiero che mi avrebbe riportato a valle dove brillavano luminarie e lampioni. Rimane il ricordo di quel rumore potente e severo che sempre sorprende, una sorta di colpo di cannone che ogni volta ci avvisa che la natura è viva; anche quando sembra riposare nel silenzio del profondo inverno.
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