VENERDI SERA
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Quando l’inverno è ormai terminato arriva il tempo delle delicate nostalgie per quei fine settimana passati a Cencenighe. Guardo la “pila de legne” che è calata ma pensavo peggio e nel frattempo mi scaldo al sole di inizio primavera pensando ai giorni andati, a quando, il venerdì, dopo un salto veloce a casa a Belluno per una doccia e carico bagagli, arrivavo in riva al Biois alle diciotto meno dieci che era già buio profondo. Trentacinque minuti di viaggio lungo la Strada Madre punteggiata di fari e poi finalmente l’approdo sotto al Pelsa; l’alzare le levette della corrente, accensione boiler e frigo e poi la spesa. Il formaggio, l’aranciata, i canederli, la pasta e la porchetta e latte e pane con l’uvetta per la colazione. E poi di nuovo a casa; Cencenighe d’inverno è avaro di sole e poi c’è il vento che raffredda i muri, così accade che, nei giorni più freddi, il termometro in cucina segni quattro gradi e allora subito accensione del fuoco e scorta di tre ceste di legna. Mentre la stufa inizia a scaldare inizio a preparare la cena mentre la campana grande suona l’Ave Maria. Poi carico stufa e camminata “fin fora par Camp” e ritorno, che ho voglia di sentire l’aria d’inverno e ascoltare la voce dei torrenti. Rientrato a casa, un po’ di televisione guardata un po’ da “a pede la stua” e un po’ da “su ‘n sofà sot la cuerta”. E intanto i gradi sono saliti addirittura fino a quota dodici e rispetto a quando sono arrivato sembra perfino caldo. Quando la stufa è ormai rovente recupero dalla camera il cuscino e il pigiama e li sistemo su una sedia accanto ad essa, così quando sarà ora “de tirase ‘n te let” saranno belli caldi; e sono momenti che mi riportano indietro di tanti anni e che rivivo sempre con gioia. Alle undici e mezza circa ultimo carico di legna nella “fornela” e poi lo spogliarsi a tempo di record e la meraviglia del pigiama riscaldato. Successiva corsa veloce sù per le scale e arrivo in camera, dove i gradi sono mediamente sette ma anche meno; una sera di fine gennaio erano quattro, e allora ho dato un colpo di stufetta elettrica, ma è stata l’unica volta. Bottiglia di acqua calda sotto le lenzuola felpate e poi anch’io sotto le lenzuola; fa freddo, ma niente paura, c’è il mega piumone che fu dei nonni, di penna vera, e dopo tre minuti sono già nel sonno più profondo. Al mattino occorre uscire dal letto di corsa e correre in bagno, dove i gradi sono forse dieci, ma niente panico; sono cose già vissute in gioventù, e il fisico ha memoria e infatti non ho mai preso un raffreddore e nemmeno una linea di febbre. Poi, una volta arrivato in cucina e rianimato il fuoco, tutto prende una piega più normale. Alla sera si sta che è un sogno in compagnia del fuoco, del mormorare del Biois e della campana che scandisce le ore e le mezze ore. Ora, mentre la primavera bussa alla porta e quando arrivo trovo almeno dieci gradi, provo un po’ di nostalgia per questi venerdì sera un po’ “avventurosi” che mi riportano indietro nel tempo, a quando, in certe notti d’autunno inoltrato, dormivo sotto lo stesso piumone ascoltando la stessa campana. Certe sere, quando si gelava sul serio, a volte mi ponevo la domanda “ma chi te lo falo fà de te ciapà zerte ingiazade”; è il bisogno di ascoltare quell’acqua che scorre e quella campana che suona, è la necessità di ritrovare sensazioni e ricordi che fanno sentire bene. Li vivevo così quei venerdì sera d’inverno; un vivere semplice, non sempre facile ma sicuramente bellissimo.