IN GITA A VENEZIA
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“…sabo don in gita a Venezia…”, mi dissero i miei un giorno di fine maggio del lontano 1986, ed era stato un annuncio piuttosto emozionante per me che fino a quel momento la Regina del Mare l’avevo vista solamente in televisione. Arrivò in fretta quel fatidico ultimo sabato del mese delle rose e, fatto assolutamente inconsueto, uscii da scuola addirittura un’ora prima del suono della campanella. La corriera che ci attendeva all’ombra del campanile dello Juvarra si riempì in fretta e all’una precisa partimmo in direzione sud. C’era un bel clima all’interno del pullman che conteneva i dipendenti dell’Ente Provincia con famigliari al seguito e il tempo del viaggio lungo la pianura veneta passò in fretta; poco meno di due ore ed ecco il mare da attraversare percorrendo il grandioso Ponte della Libertà; mai mi era capitato di viaggiare a pochi metri dall’acqua salata che muoveva dolcemente accarezzando le briccole consunte. All’orizzonte si mostrava la città del leone alato e maestose si levavano verso il cielo le ciminiere di Porto Marghera, e chissà perché alla loro sommità ardeva un misterioso pennacchio di fuoco. In Piazzale Roma il “liberi tutti” per qualche ora, e allora via in modalità camminata veloce con l’obiettivo di raggiungere la mitica Piazza San Marco. Ed era un solcare ponti più o meno lunghi che attraversavano canali piu o meno importanti, erano foto centellinate scattate con perizia dopo lunghi attimi spesi regolando messe a fuoco e tempi di esposizione. E, nel frattempo, l’orecchio ascoltava lo sciabordio delle onde che si infrangevano sui muri dei palazzi e l’occhio cercava quei cartelli gialli con la scritta nera che indicavano il percorso da seguire per raggiungere il cuore della città circondata dal mare. Un vagare affascinante e un po’ casuale fra calli e campielli che formavano una sorta di magico labirinto e poi l’emozionante approdo in Piazza San Marco; ora finalmente potevo ammirare i classici scorci che avevo imparato a conoscere sugli album di figurine, ovviamente mai completati, riguardanti la geografia d’Italia. La Basilica, Palazzo Ducale, i Mori che suonavano la campana con due giganteschi martelli; e poi l’altissimo campanile, i piccioni che li potevo quasi toccare, i camerieri con il papillon che entravano e uscivano dai locali e le bottigliette da mezzo litro d’acqua naturale a cinquemila lire. La folla, gli sguardi carichi di meraviglia, lingue di tutto il mondo e le foto d’obbligo con il Ponte dei Sospiri a fare da severo sfondo. La fortuna quel giorno era dalla nostra parte e, oltre ad aiutarmi a non cadere in nessun canale, fece pure in modo che potessimo visitare una nave della Marina Militare Italiana ormeggiata nei pressi della piazza. E così potei ammirare gli enormi motori, gli slanciati missili, scrutare la laguna attraverso le feritoie, inciampare nelle soglie delle porte tagliafuoco e sbirciare nelle canne dei cannoni; peccato solo dover scendere, ma il tempo stringeva e occorreva fare ritorno in Piazzale Roma per riprendere la corriera che ci avrebbe portato nell’entroterra di Caorle. La destinazione era un ristorante dove avremmo consumato una classica cena a base di pesce. Correva veloce il pullman lungo il Ponte della Libertà, ed ora i seriosi dipendenti dell’Ente Provincia ridevano e scherzavano producendo un allegro chiasso. Arrivammo al ristorante poco prima dell’approssimarsi del tramonto e di lì a poco ebbe inizio la sontuosa cena in modalità anni ’80 style. Profumo di frittura di pesce, tintinnio di posate e bicchieri come ai matrimoni, conchiglie da aprire e sgroppini da assaggiare, il tutto condito da risate e aneddoti da ufficio da ascoltare. Poi, mano a mano che la cena avanzava, suoni e profumi arrivavano sempre più sfumati; era il preludio del crollo fisico arrivato poco dopo la mezzanotte. Un breve risveglio mentre mi accasciavo nella 127 color del cielo e poi un altro lungo sonno; al risveglio era già trascorsa mezza domenica e Venezia era già un ricordo da narrare nel tema del lunedì.
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