Supercinema Vittoria di Trento gremito, domenica 30 aprile, in occasione della proiezione in prima mondiale del docufilm dedicato a Riccardo Bee nel quarantesimo anniversario dalla sua morte avvenuta sull’Agner. Se lo meritava Riccardo un ricordo che ne esaltasse la grande figura alpinistica, iniziata in cordata con Franco Miotto e saltuariamente altri compagni e proseguita poi da cavaliere solitario su pareti immense come il Burel e l’Agner. La sua scarsa ricerca della notorietà ha probabilmente impedito, a parte fra gli addetti ai lavori, che le sue imprese avessero l’eco che meritavano e finora soltanto un libro piuttosto recente, “Riccardo Bee, un alpinismo titanico”, ne aveva raccontato le incredibili gesta fatte di avvicinamenti scomodi e lunghissimi, di pareti vertiginose, di bivacchi al gelo e di prime ascensioni che ancora oggi destano ammirazione e incredulità. Il docufilm “L’ultima via di Riccardo Bee”non è però solo il racconto di scalate e imprese, anzi, è prevalentemente il ritratto di un uomo eccezionale che nella vita era peró normale. Di un marito e papà premuroso e di un compagnone per gli amici, che aveva però assoluto bisogno dei suoi spazi sulle crode per potersi esprimersi totalmente. Un grande e lungo applauso al termine della proiezione ha omaggiato questo grande lavoro del regista Emanuele Confortin, che in molte riprese ha portato lo spettatore dentro le incredibili pareti teatro delle gesta di Riccardo, tanto che a volte è parso di essere li insieme a lui. Oltre ai fratelli dell’alpinista bellunese tanti erano i Bellunesi e gli agordini in sala, compagni di cordata, autorità o semplici ammiratori di un uomo romantico e visionario a cui non si può non voler bene, caduto sull’Agner in un inverno di quarant’anni fa rincorrendo un sogno.
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