L’ANIMA DI AGOSTO
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“Non si lavora Agosto, nelle stanche tue lunghe oziose ore
Mai come adesso è bello inebriarsi di vino e di calore”.
Cosi Francesco Guccini descrive il mese di agosto nella sua celebre Canzone dei dodici mesi. Agosto, il mese dei susini e delle vacanze, delle “asie” e delle serate sempre più corte e fresche, è un tempo di passaggio. Inizia nella profonda estate, quella ancora rovente, in quel periodo di gioia e valigie pronte per le ferie imminenti, e poi termina quando nelle valli di montagna l’autunno è già alle porte. Alla metà esatta il Ferragosto, la grande giornata delle grigliate e della Madonna che a Cencenighe viene portata in solenne processione dai coscritti. A Ferragosto le campane suonano a festa celebrando questa festività che, in fondo, ha dentro quel filo di malinconia per un’altra estate che va fuggendo e che a breve diverrà ricordo. Li rammento ancora quegli arrivi concitati dei turisti a inizio mese, erano vetture cariche di bagagli e sorrisi e bambini vocianti e padri sudati e stanchi per i chilometri passati alla guida. Erano madri che facevano il giro dei negozi e poi gli abbracci con amici e parenti; era agosto, il mese delle agognate ferie e delle camicie a quadri indossate dai cercatori di funghi e dai camminatori montani. Gliela leggevi negli occhi quella voglia di non perdere nemmeno un minuto di quel tempo prezioso che correva implacabile verso il Ferragosto. C’era fervore, vita in quei primi quindici giorni del mese che erano anche gli ultimi di vera estate, poi, al primo temporale, tutto sarebbe cambiato. Intanto quel tempo di allegria vacanziera si andava assottigliando di ora in ora e ben presto il fatidico giorno della chiusura degli scuri delle finestre delle seconde case e del rientro a casa e alla propria routine sarebbe inevitabilmente arrivato. Li ricordo quegli sguardi carichi di malinconia e quel cielo che iniziava a mostrare tinte di quasi settembre mentre le auto scivolavano lentamente in direzione sud. Dal lunedì successivo avrebbe avuto inizio un tempo nuovo e malinconico, quello in cui si iniziava ad intravedere all’orizzonte l’inizio della scuola e appena mitigato dalla classica e desiderata gita in corriera con destinazione Ortisei o Merano. A fagioli oramai quasi maturi talvolta si poteva ammirare la prima e fugace neve che imbiancava le alte cime del Civetta e della Marmolada; accadeva in quei giorni di temporale serale, con il primo fumare di camini e l’acqua che pareva bagnare quell’anima già triste per l’estate oramai sfumata. Il giorno successivo la prima ed effimera neve avrebbe scintillato orgogliosa sulle vette prima di scomparire al sole del mezzogiorno. Era stato un attimo appena, ma era bastato per annunciare quel settembre ormai alle porte che in montagna segnava l’inizio dell’autunno metereologico. È così agosto, mese dalle due anime, allegria e malinconia, estate e primi lievi sussurri della stagione dei colori; mese delle feste e della campana che il trentuno suona l’Ave Maria nella tranquilla oscurità di una stanca sera di un’altra estate che va morendo.
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