IL RESPIRO DELLA MIA TERRA
AUDIO
– Che fai domani? Io ho la partita di calcio, andiamo a giocare a Feltre…
-Io invece vado a San Tomaso…
-Dove vai domani? Io vado a judo, sono cintura bianca…
-Io invece vado a Cencenighe…
Erano questi i classici dialoghi del sabato mattina fra compagni di classe delle elementari. Alle 12.30, negli immensi corridoi delle Scuole Gabelli era tutto un vociare allegro di bambini pronti a vivere un altro fine settimana che si preannunciava indimenticabile. Qualcuno doveva giocare la partita di calcio della vita, qualche bambina doveva affrontare il saggio di danza, altri una gita fuoriporta magari addirittura fuori regione. Io la domenica sarei andato a San Tomaso a trovare i nonni, e se era d’autunno, invece, sarebbe stato pranzo veloce e poi rotta verso Cencenighe, dove avrei dormito nel mio fantastico letto a castello rosso. A quei tempi non conoscevo nessuno che viveva una vita simile alla mia, perciò mi sentivo un po’ unico e piacevolmente diverso. Era bello potermi recare in due paesi da vivere part time, situati ad una distanza che permetteva la frequentazione assidua di un mondo opposto a quello della Piccola Città; era bello anche sentire il costante richiamo delle radici e soprattutto conoscere e parlare il dialetto di quei due paesi agordini. A scuola il dialetto era assolutamente bandito, ma in fondo non c’era alcuna regola linguistica da rispettare perché nessun compagno conosceva il dialetto bellunese. Nemmeno io lo conoscevo, però avevo la cadenza del dialetto agordino che parlavamo in casa; ero l’unico in classe con questa caratteristica, e in quell’aula piena di bambini nati a Belluno o a Feltre, ero il solo nato ad Agordo, e mi piaceva un sacco quel “nato ad Agordo” riportato sulla Tessera Sanitaria di colore giallino.
-Sai, io a Natale vado a sciare in Austria, tu che fai?
-Io invece andrò qualche giorno a San Tomaso…
Capitava che qualcuno mi chiedesse cosa facessi lassù ogni domenica, e immancabilmente rispondevo che “gioco a hockey con una scopa e una pallina da tennis e sto al caldo sul fornel”. Ogni volta erano sguardi perplessi e tentativi di spiegare cos’era il fornel e cosa c’era di bello ed importante per me lassù di fronte e sotto al Pelsa. Tutto ciò lo raccontavo nel tema del lunedì, che dalla seconda elementare in poi fu mono-titolo; l’incipit era “una domenica a San Tomaso” oppure “un fine settimana a Cencenighe”, lo svolgimento era sempre ricco di nuovi dettagli che scoprivo durante ogni viaggio lungo la Strada Madre. Amavo raccontare della brina che nelle lunghe sere di novembre ricopriva il sagrato della chiesa di Cencenighe, mi piaceva narrare i colori autunnali del Bosc dal Forn, che erano al massimo nei giorni in cui portavamo i fiori nel cimitero ai piedi del Pelsa. Rileggendo oggi quei semplici temi, si percepisce nettamente quella sensazione di sentirsi un po’ emigranti che avevano la fortuna di ritornare ogni settimana nei loro paesi, ed era destino strano questo entrare e uscire da due universi differenti che si intersecavano continuamente. Il sabato lasciavo il mondo talvolta serioso della Piccola Città per ritrovarmi, trentacinque minuti più tardi, nella mia valle dove potevo incontrare i miei affetti più cari e ascoltare quelle voci d’acqua e campane, il fruscio della neve e il crepitare delle foglie secche d’autunno.
-Sai, quest’estate sono stato a Bisceglie, tu dove sei stato in vacanza?
-Io sono stato a San Tomaso, a fare compagnia ai nonni e ad ascoltare il respiro della mia terra…
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