IL PRIMO FUOCO
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“…e forse non ricordavamo nemmeno più di quanto fosse importante il fuoco…”
Il calore sprigionato da una stufa a legna è differente, è un tepore che sa di casa, non è anonimo come quello emesso dai termosifoni attivati semplicemente schiacciando un pulsante.
Con il fuoco è diverso, è un calore che va conquistato e occorre un minimo di sapienza, del saper fare di un tempo. Nell’accenderlo, nel manovrare opportunamente i registri, nello scegliere la legna più adatta. E poi la soddisfazione di sentire crepitare allegramente quella legna costata fatica, di vedere le fiamme ardere con vigore. Del fuoco ci si ricorda quando si ha freddo, ed è in quei momenti che lo si coccola, soffiando sulle braci per ridargli anima e forza.
Il fuoco fa la sua comparsa nella cucina economica al tempo della prima pioggia che annuncia l’approssimarsi del vero autunno. Accade solitamente intorno alla fine di settembre, in una mattina umida e uggiosa, una di quelle in cui le nuvole stazionano a mezza costa sui ripidi versanti del Pelsa. La senti quell’aria che intirizzisce e che crea quel desiderio di un fuoco amico che scalda e che fa compagnia mentre fuori la pioggia scende sottile e insistente. È in quegli attimi che sanno di passato che puoi sentire un’altra volta il cigolare dello sportello della cucina economica. Un suono banale, forse, ma che riporta dolci memorie di quelle domeniche mattina d’ottobre inoltrato a Cencenighe, quando fuori l’aria era pungente e accendere il fuoco era la prima azione della giornata. Così anche oggi ti ritrovi a compiere quegli stessi gesti di allora che sanno di sapere tramandato, gesti sempre uguali ed efficaci, che regalano la soddisfazione di vedere nascere ancora una volta quella quelle fiamme amiche. C’è la sottile emozione della prima cesta di legna e l’appiccicarsi di qualche goccia di resina sulle mani, e poi ecco che ti accingi a rinnovare il rito dell’accensione; dapprima la fiamma arde timida, quasi stentorea, poi ecco che si ravviva e inizia a lambire con decisione i cerchi della cucina economica. Pochi minuti e la sua voce si fa più decisa e diventa preziosa compagnia durante le lunghe giornate dell’autunno e dell’inverno. È soffiare discreto, è scoppiettare allegro, è muovere della legna che man mano si trasforma in brace. È cosa viva il fuoco, possiede un’anima e una voce, riscalda e rassicura, è compagno fedele di quei giorni di grigiore e di neve e camini fumanti. La sua cura è un insieme di attimi che scandiscono quelle silenziose e fredde giornate di nuvole che coprono le cime. Quando lo senti stanco lo ravvivi, e vai avanti così fino a sera inoltrata quando lo saluti. Si addormenterà anche lui, lentamente e senza fare rumore e forse ritroverai qualche timida brace al mattino successivo; basterà della legna sottile per riavviarlo e per restituirgli il vigore necessario a riscaldare quel tempo lento che scivola verso l’inverno.
Amigo fok, soci de tante sere d’invern, cande che sentà a pede fornela me scalde le man e ‘l cor apena lugà su da Belum. Lè bel te scoltà arde content intant che de fora se ingiaza ‘l sagrà; tes la mè compagnia de chele sere de fret, e somea che te me descore par no me fa sentì sol. Ti te me regale ‘l to calor, mi te rencure come ‘n popo apena nasest. Dai, ston asieme ‘ncora ‘na ota, anca stasera; me sentarai vesin de ti e se la contaron come cande che ere casù a Nadal.
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