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CERTE SERE
AUDIO
In quei venerdì pomeriggio di luglio, quando rientrava al paese trovava il dolce tepore dell’estate ad accoglierlo. C’era la campana che lo salutava battendo la mezza e quel rumore di traffico che andava lentamente scemando mentre il sole iniziava il suo congedo dalla valle. Dopocena amava andare a camminare; dapprima percorreva lo stretto viottolo in porfido che si insinua fra le case più antiche fino a raggiungere il termine dell’abitato, per poi attraversare la regionale e imboccare il ponte che scavalca il Cordevole. Gli piaceva sostare per qualche minuto nel mezzo per guardare scorrere l’acqua e ascoltare la sua musica gentile. Era in quei momenti che raffioravano i ricordi dei tempi sereni vissuti durante quelle lunghe estati passate ai piedi del Pelsa. Rammentava quei dopocena di allora, quando attraversava questo stesso ponte per recarsi al campo di calcio situato in riva al torrente. Pochi minuti più tardi era proprio lì, dietro quella rete che delimitava il campo da gioco ora ricoperto da un perfetto manto erboso. Di quelle lontane sere trascorse a giocare a calcio ricordava la ghiaia e le rade chiazze d’erba nei pressi delle bandierine dei calci d’angolo. E poi la segatura sparsa davanti alla porta, i pali in ferro con le macchie di ruggine e quella traversa all’inizio impossibile da toccare. Sorrideva quando ricordava il fatidico momento in cui riuscì finalmente a toccarla quella traversa, era accaduto mentre terminavano gli anni ‘80 e spirava un vento leggero, lo stesso che ora gli stava scompigliando i capelli e portando ricordi vecchi di trentacinque anni. Osservava il muovere della vegetazione cresciuta nell’alveo del Cordevole e poi guardava in alto verso le cime che circondano il paese. Lassù tutto era rimasto uguale, solamente più in basso qualcosa era cambiato; allora c’era qualche prato in più su quei ripidi costoni e a fondovalle, invece, alcune nuove case avevano occupato terreni che a quel tempo erano prati e orti coltivati. Poco più avanti, i lumini che ornavano le tombe presenti nel camposanto rischiaravano con il loro malinconico chiarore la notte incipiente. Luce tremula di candele e lassù il Pelsa che lentamente diveniva sagoma accennata, profilo scuro in quel cielo che attendeva con pazienza le stelle. Poi la breve salita e un’altra sosta importante, lì dove i due torrenti celebrano il loro infinito matrimonio. Gli piaceva guardare quelle acque che che si univano per poi diventare subito acque di lago, gli piaceva ascoltare le loro voci che in quel punto esatto cantavano all’unisono una musica perfetta. La vista di quelle montagne che incombevano sul paese, la notte nascente e il concerto d’acqua lo rasserenavano e ogni volta si stupiva del fatto che dopo tanti anni, questa natura riuscisse ancora a stupirlo. Nulla era divenuto abitudine, niente era diventato scontato, nemmeno l’ombra che al tramonto risaliva lungo la parete del Pelsa fino a raggiungerne la cima mentre sul paese scendeva una dolce sera d’estate. Poi era un ritornare lento verso casa camminando lentamente in compagnia della quiete serale; di lì a poco, avrebbe vissuto un’altra notte in quell’imperfetto silenzio scandito dai perenni rintocchi della campana che rendevano vive quelle sue notti agordine.
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