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SILENZI DI MONTAGNA
AUDIO
I suoi silenzi erano custoditi sul monte che mostrava la grande cicatrice provocata dal distacco della frana che precipitò a valle alla fine di maggio del 1940. Li aveva riposti in quel bosco che i suoi avi gli avevano lasciato, un bosco che allora era prato, che loro avevano acquistato mentre stavano per terminare i travagliati anni ‘40. Era accaduto al tempo dei loro trent’anni, quando c’era l’Italia da rifare e una guerra da tentare di dimenticare. Furono pensieri, soldi che non erano mai abbastanza, lavoro da mattina a sera e speranze per un futuro migliore; e poi erano state lunghe sere in cui ritornavano la Grecia e l’Albania mentre l’oscurità si prendeva i boschi del Pelsa. Furono all’incirca due decenni di fienagioni, di fatiche dall’alba al tramonto in quei giorni concitati di inizio luglio, e poi il lento oblio iniziato nei primi anni ‘70. A quel tempo scese il silenzio sul bosco, non si udì più il sibilare della falce e il grattare dei rastrelli durante quelle calde mattine di piena estate. Nacque un tempo diverso, scandito dal crescere degli abeti e dagli sguardi malinconici ricordando ciò che avevano vissuto in quel grande pascolo che ora era bosco. Si infittivano gli alberi e sbiadivano i ricordi di quel vivere che nemmeno troppo lentamente era cambiato. Lassù erano rimasti quei silenzi che raccontavano di un tempo lontano e lui, un giorno, si accorse di avere bisogno di quei silenzi che i vecchi avevano lasciato nel grande bosco sul monte. In quel luogo appartato non arrivava il fragore del mondo di sotto, non c’era l’urlare sguaiato che usciva dai televisori e nemmeno il frastuono delle automobili; arrivavano solamente suoni dolci e smorzati, rintocchi di campane che annunciavano la Messa e poi il frusciare gentile delle foglie di faggio colorate d’estate e il crepitio di qualche ramo di larice che si posava al suolo. Spesso, mentre viveva quegli attimi pregni di una calma rara, pensava che a loro era servito il fieno per sfamare la vacca, a lui, invece, occorreva la quiete e un po’ di legna per scaldarsi durante l’inverno. Bisogni diversi in tempi diversi, lontani fra loro oltre mezzo secolo. Lassù, dove dopo il tramonto, insieme alla sera scendeva una serena malinconia, aveva imparato a sentirli vicini quegli avi che gli avevano consegnato le chiavi di quel bosco carico di silenzi e ricordi. Lassù aveva imparato a vivere quella quiete profonda e a far cadere un albero incastrato, e poi a riconoscere il momento in cui l’autunno avrebbe salutato la valle lasciando spazio alla prima neve di novembre. Lì, dove durante quei caldi e lontani giorni d’inizio luglio pregavano che non arrivasse la pioggia a bagnare il fieno, aveva compreso il valore del silenzio e delle parole pesate e poi imparato ad ascoltare quella natura che in certi giorni d’inverno parlava con voce di neve. Erano silenzi buoni, necessari, capaci di far comprendere ciò che occorreva davvero per sentirsi in armonia con quella terra di montagna. In quel luogo, dove si percepivano le vite e le fatiche di un tempo, ritornavano valori e ricordi e attimi di calma assoluta; ritornava il buon vivere scandito dal ruotare infinito delle stagioni
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