Gli ultimi dati disponibili dicono che il Veneto è la regione che più di qualsiasi altra ha fatto ricorso al Superbonus per efficientare il proprio patrimonio residenziale. Infatti, a fronte di 59.652 asseverazioni depositate presso l’ENEA, l’incidenza di questo numero sull’intero stock di unità abitative presenti nella nostra regione è stato pari al 5,6 per cento. Nessun’altra regione d’Italia ha registrato una percentuale superiore alla nostra. Il dato medio nazionale, invece, è stato del 4,1 per cento (vedi Tab. 1).
Nonostante questo record, la spesa in capo allo Stato per ogni intervento effettuato in Veneto è tra le più basse del Paese. Se da noi l’investimento medio è stato pari a 194.913 euro, solo la Sardegna e la Toscana, rispettivamente con 187.440 euro e 182.919 euro, hanno registrato degli importi inferiori. La media nazionale, invece, ha toccato i 247.819 euro. Gli oneri complessivi a carico dello Stato per le detrazioni maturate in Veneto hanno raggiunto complessivamente gli 11,6 miliardi di euro (pari al 9,5 per cento della spesa totale) (vedi Tab.2).
In linea generale possiamo affermare che i proprietari di immobili in Veneto sono stati i più solerti a utilizzare questo bonus, anche se il valore economico medio degli interventi portati a detrazione è stato tra i più contenuti del Paese. A dirlo è l’Ufficio studi della CGIA che, in merito al Superbonus, sin dalla sua introduzione (1 luglio 2020) ha espresso delle forti critiche e continua a ribadirle anche nella nota odierna.
In un momento così delicato, dove con la prossima legge di bilancio verranno chiesti sacrifici a tutti, aver speso oltre 6 punti di Pil per efficientare uno sparuto numero di abitazioni, fa arrabbiare chiunque abbia un minimo di buon senso.
In linea generale, con il cosiddetto 110 per cento lo Stato ha speso una cifra spaventosa pari a 123 miliardi e, come illustriamo più sotto, efficientando una quota infinitesima di alloggi presenti nel Paese. Non solo, stando alle prime indiscrezioni, sembrerebbe aver favorito maggiormente i proprietari di immobili con una buona/elevata capacità di reddito, anziché rivolgersi in via prioritaria alle famiglie meno abbienti che, in linea di massima, presentano una probabilità maggiore di risiedere in abitazioni in cattivo stato di conservazione e con un livello di efficienza energetica molto basso.
Risultati ambientali modesti
Non tutti, comunque, sono concordi nel ritenere che il Super Ecobonus 110% contribuirà in misura importante ad abbattere le emissioni di inquinanti. Ancorché non ci siano valutazioni scientifiche rigorose sotto il profilo ambientale, l’abbattimento di CO2 sarebbe molto contenuto. Sempre secondo la Banca d’Italia, le prime evidenze dimostrerebbero che nello scenario migliore i benefici ambientali del Superbonus compenserebbero i costi finanziari sostenuti in quasi 40 anni. Non solo, ci sono alcuni esperti internazionali che sostengono che la riduzione delle emissioni ottenuta con l’applicazione del Superbonus poteva essere maggiore, se si fosse incentivata l’elettrificazione dei sistemi di riscaldamento degli ambienti, la cottura di cibi e la produzione di acqua sanitaria. Insomma, in alternativa al gas-metano, sarebbe consigliabile utilizzare vettori elettrici (come le pompe di calore e le piastre a induzione), che sono significativamente più efficienti delle tecnologie che impiegano fonti fossili.
Con 123 miliardi avremmo 1,2 milioni di nuovi alloggi pubblici: 400mila in più di quanti ne disponiamo adesso
Chi politicamente ha voluto e continua a difendere questo provvedimento, sostiene che non si debba guardare solo alla spesa che lo Stato si è fatto carico fino ad ora, ma anche agli effetti economici positivi che esso ha generato. Vale a dire più gettito (Irpef, Ires, Iva, etc.), più occupazione, più Pil, più risparmio energetico e meno emissioni di inquinanti. E’ un’obiezione legittima che, tuttavia, è facilmente confutabile dalla tesi sostenuta da tempo dalla CGIA; se invece di ricorrere al Superbonus per incentivare quasi esclusivamente gli interventi di edilizia privata ci fossimo avvalsi di questa misura per demolire e ricostruire solo gli edifici residenziali pubblici, le conseguenze appena richiamate dai “sostenitori” del 110 per cento sarebbero state praticamente le stesse. Con 123 miliardi di euro avremmo teoricamente potuto costruire 1,2 milioni di alloggi pubblici, 400mila in più di quanti sono presenti nel Paese. Con una differenza sostanziale: nel secondo caso avremmo compiuto un’azione di giustizia sociale che la misura attualmente in vigore ha paurosamente disatteso.
In Italia interessato solo il 4,1% degli edifici
Entro il 31 agosto scorso, gli interventi di ristrutturazione/efficientamento edilizio realizzati per mezzo del Superbonus sfiorano le 500mila unità (precisamente 496.315). Nonostante gli oneri a carico dello Stato siano pari a 123 miliardi di euro, solo il 4,1 per cento del totale degli edifici residenziali presenti nel Paese è stato interessato dall’agevolazione fiscale. A livello regionale, invece, è il Veneto ad aver registrato il ricorso più numeroso al 110 per cento. Con 59.652 asseverazioni depositate, l’incidenza percentuale di queste ultime sul numero degli edifici residenziali esistenti è stata pari al 5,6 per cento. Seguono l’Emilia Romagna con 44.438 asseverazioni e un’incidenza del 5,4 per cento, il Trentino Alto Adige con 11.342 interventi e sempre con un tasso del 5,4 per cento, la Lombardia con 78.125 asseverazioni e un’incidenza del 5,2 e la Toscana con 38.532 operazioni e anch’essa con una incidenza del 5,2 per cento. Per contro, a “snobbare” l’incentivo sono state le regioni del Mezzogiorno: Molise e Puglia, ad esempio, hanno interessato solo il 2,9 per cento dei propri edifici residenziali, la Calabria il 2,6 per cento e la Sicilia solo il 2,2 per cento (vedi Tab.1).
Ogni intervento è costato mediamente 247.800 euro. Oltre 400mila euro in Valle d’Aosta
Sempre a livello nazionale, l’onere medio per edificio residenziale a carico dello Stato è stato di 247.819 euro. Il picco massimo lo scorgiamo in Valle d’Aosta con 401.040 euro per edificio: seguono la Basilicata con 299.963 euro, la Liguria con 298.314 euro, la Lombardia con 296.107 euro e la Campania con 294.679 euro. Chiudono la graduatoria il Veneto con un costo medio per intervento di 194.913 euro per edificio, la Sardegna con 187.440 e, infine, la Toscana con 182.919 euro (vedi Tab. 2).