******
LA VALBELLUNA
AUDIO
È valle serena la Valbelluna, solcata al centro dalle acque del Fiume Sacro, capaci di indorarsi alla luce di certi tramonti novembrini. Destra e sinistra Piave, terre simili e diverse, vegliate rispettivamente da montagne selvagge e severe e da più tranquilli colli boscosi che digradano dolcemente verso il fiume. Belluno, sorta sul pulpito sul quale si erge bianco e maestoso il campanile dello Juvarra, è capoluogo di questa valle ampia e assolata. Belluno e le sue fontane e lassù la Schiara, simbolo della città, la prima vera montagna dolomitica che si incontra salendo dalla pianura. Montagna vera, con la sua importante storia alpinistica da narrare e la sua Gusela, prodigio dolomitico che rivaleggia in bellezza con i palazzi e le chiese della Città Splendente. La Valbelluna, un tempo terra contadina, di campi di mais arati a forza di braccia, di chiese bianche ad indicare i paesi. Terra di case coloniche col piol e vigneti affaticati di uva americana buona per quel clinto aspro e duro come certe vite faticose vissute nelle campagne che lambivano il Piave. Erano donne e uomini che il sabato mattina entravano a Belluno per proporre i loro prodotti di stagione al grande mercato, erano biciclette carretti e motocarri carichi di fatiche e speranze. Era un giro in quella Via Mezatera viva vitale in ogni suo angolo, era un’ombra di vino buono bevuto in una di quelle osterie invase dal fumo e da tanta umanità. Destra e sinistra Piave, da Belluno a Busche, paesi campagna e poi ancora paesi e vite apparentemente immutabili fino a quella tremenda notte d’inizio autunno del 1963. Quella mattina del 10 ottobre rivelò un Piave sconvolto come le persone che abitavano le sue rive. Aria di devastazione in quell’alveo carico di morte e nell’animo di quelle persone affrante che recuperarono i corpi senza vita di altre persone tragicamente perite più a nord. Era il Vajont, la grande tragedia bellunese, che cancellò Longarone, che provocò duemila vittime e che nel giro di pochi anni cambiò le sorti della Valbelluna e non solo. Dalle ceneri dell’immane tragedia nacquero i provvedimenti che diedero impulso alla creazione di nuove industrie che, tempo qualche anno, si insediarono in Valbelluna. Furono nuovi capannoni che andarono a formare vere e proprie zone industriali, si avviarono produzioni di ceramiche compressori frigoriferi, di tutto un po’. Donne e uomini iniziarono a varcare i cancelli di quelle nuove fabbriche che si ingrandivano anno dopo anno. Nascevano nuove industrie e nel frattempo sorgevano nuove case costruite da quelle maestranze che quelle fabbriche le mandavano avanti. Case di mattoni e cemento e non più di pietra, riscaldamenti a gasolio, nuove auto che andavano e venivano da quei capannoni sorti lungo il corso del Piave. Era il progresso che aveva portato un po’ di sacrosanto benessere, erano campi che ritornavano ad essere prati. Erano uomini passati dal trattore alla catena di montaggio, dal badile al tornio e alla fresa, era una terra che aveva iniziato a vivere un’epoca nuova e diversa. È così la Valbelluna, valle serena solcata al centro dal Piave che, nel suo perpetuo scorrere, racconta le vite, le storie e le fatiche di questa gente operosa di quasi montagna.
*******