NEL VENETO IMPONIBILE EVASO PARI AL 10% DEL NOSTRO VALORE AGGIUNTO.
Abbiamo finalmente cancellato l’evasione fiscale? La domanda-provocazione l’ha lanciata l’Ufficio studi della CGIA che, sulla base dei dati presentati nelle settimane scorse dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) e dall’Agenzia delle Entrate, ha ricordato che l’anno scorso a livello nazionale l’erario ha incassato, rispetto al 2021, 68,9 miliardi in più di entrate tributarie e contributive, ha recuperato 20,2 miliardi di evasione e ha “bloccato” 9,5 miliardi di frodi. Questo maggior gettito, pertanto, ammonta complessivamente a 98,6 miliardi di euro. Un importo che ha una dimensione leggermente inferiore alla stima dell’evasione fiscale e contributiva presente in Italia che, secondo le stime, ammonterebbe attorno ai 100 miliardi di euro.
L’infedeltà fiscale è più diffusa al Sud. Veneto virtuoso
Sebbene gli ultimi dati disponibili dell’Istat siano riferiti al 2020, anno fortemente condizionato dall’emergenza pandemica, la percentuale dell’economia non osservata sul valore aggiunto regionale registrava le soglie più elevate nel Mezzogiorno. Se in Sicilia si attestava al 16,8 per cento, in Puglia al 17 per cento, in Campania al 17,7 per cento e in Calabria che, con il 18,8 per cento, continua a essere la regione più a rischio evasione d’Italia. Le realtà più fedeli al fisco, invece, erano la Provincia Autonoma di Trento con il 9 per cento, la Lombardia con l’8,4 per cento e, la meno interessata da questo triste fenomeno, la Provincia Autonoma di Bolzano con un’incidenza dell’8,2 per cento. La media nazionale si fermava all’11,6 per cento. La nostra regione, invece, si colloca nella parte più virtuosa della graduatoria. Nel 2020, al pari dell’Emilia Romagna, registrava una percentuale di economia non osservata sul valore aggiunto regionale pari al 10,1 per cento che, in termini assoluti, corrispondeva ad un imponibile evaso pari a 13,8 miliardi di euro. Sempre avvalendosi della incidenza dell’economia non osservata sul valore aggiunto regionale, a livello nazionale solo il Friuli Venezia Giulia (9,4 per cento), la Lombardia (8,4 per cento) e il Trentino Alto Adige presentavano nel 2020 un tasso inferiore al nostro.
Una provocazione con un fondo di verità
Tornando alla domanda iniziale, possiamo pertanto affermare che abbiamo azzerato l’evasione? Certamente no, sebbene abbiamo imboccato la strada giusta per la sua progressiva riduzione. Infatti, una quota preponderante dei 68,9 miliardi incassati in più sono riconducibili al buon andamento dell’economia verificatasi l’anno scorso che include un importo – sicuramente contenuto ma ogni anno in costante aumento – ascrivibile agli effetti della compliance fiscale. Dunque, possiamo dire che un fondo di verità c’è.
Ecco chi continua a non pagare
Se teniamo conto degli effetti riconducibili alla fatturazione elettronica, allo split payment e all’attività di controllo praticata dal fisco attraverso l’incrocio dei dati presenti nelle proprie banche dati, rispetto a qualche anno fa gli evasori hanno la vita più dura. Certo, non tutti. Chi è completamente sconosciuto al fisco continua imperterrito a farla franca, così come le organizzazioni criminali di stampo mafioso che sempre con maggior dedizione seguitano a coltivare i propri traffici illegali. Poco “sensibili” alla fedeltà fiscale lo sono anche quelle multinazionali e i giganti del web che, in Italia, realizzano profitti miliardari, ma la stragrande maggioranza delle imposte le versano nei paesi a elevata fiscalità di vantaggio.
La riforma fiscale
In attesa di poter disporre di ulteriori informazioni sul testo approvato giovedì scorso dal governo Meloni, per l’Ufficio studi della CGIA una riforma fiscale che abbia l’ambizione di definirsi tale deve, innanzitutto, indicare preventivamente quanto costa e dove si recuperano le coperture, dopodiché ha il compito di conseguire, in tempi ragionevolmente brevi, almeno altri tre punti:
la riduzione del carico fiscale a famiglie e imprese;
la semplificazione del rapporto tra il fisco e il contribuente;
la riduzione dell’evasione e dell’elusione fiscale.
Il mancato raggiungimento di questi obbiettivi costituisce un serio pericolo che la stessa sia destinata a fallire o comunque non in grado di dare una seria risposta alle tante istanze dei contribuenti che da tempo chiedono un fisco più equo e meno complicato.
Lo sforzo fiscale delle nostre imprese è al top
Le imprese italiane sono tra le più tartassate d’Europa. Nel confronto con i principali Paesi UE, purtroppo, la percentuale del gettito fiscale riconducibile alle aziende italiane sul totale nazionale è nettamente superiore, ad esempio, a quella tedesca, francese e spagnola.
Se nel 2020 da noi ha raggiunto il 13,5 per cento (garantendo un gettito di 94,3 miliardi di euro) in Germania era al 10,7 per cento (144, 8 miliardi di imposte versate), in Francia al 10,3 per cento (108,4 miliardi versati) e in Spagna al 10,1 per cento (41,7 miliardi di gettito). Rispetto alla media europea scontiamo oltre 2 punti percentuali in più.
Un ulteriore elemento che conferma l’elevato livello di tassazione sulle nostre imprese emerge dal confronto delle principali aliquote che gravano sul reddito imponibile delle società. Se in Italia si attesta al 27,9 per cento, tra i nostri principali competitor scorgiamo che in Francia è al 25,7 per cento e in Spagna al 25 per cento. Tra i big solo la Germania, pari al 29,8 per cento, sconta un livello superiore al nostro. Rispetto alla media europea, in Italia l’aliquota è superiore di ben 6,7 punti.