di RENATO BONA
BELLUNO E’ toccato ad un autentico personaggio della storia e della cultura locale, Gianni De Vecchi, all’epoca presidente del Comitato della Biblioteca civica, proporre il capitolo “Aspetti economici e culturali nel tessuto sociale di Sedico” nel libro intitolato “Ricordando” che il Comune e la Biblioteca civica vollero stampare con l’Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali e per i tipi della tipografia Piave, nel marzo del 1986, col contributo della allora Cassa di risparmio di Verona, Vicenza e Belluno, della Regione e della Comunità montana Bellunese. De Vecchi esordisce affermando che: “… pare di poter dire che fino al 1950 circa, la maggior parte della popolazione del Comune era occupata nei lavori agricoli” e spiega quindi che le condizioni di vita durissime (si lavorava dall’alba al tramonto con attrezzi primitivi), la mancanza di norme igieniche (nelle abitazioni non c’era l’acqua potabile e fino al 1860 circa mancavano pure acquedotti e fontane pubbliche), le acque stagnanti (i cosiddetti ‘paluch’), le case malsane (per molti anni in alcune addirittura la terra per pavimento e i muri trasudanti umidità), l’insufficiente alimentazione (verso la fine del 1800 la polenta era ancora il nutrimento principale per alcune famiglie, con l’aggiunta negli anni successivi di poco latte, ‘puina’, ‘nida’ e formaggio scadente) erano causa di molte malattie (nel secolo scorso anche tifo, pellagra e malaria)”. La durata della vita era di conseguenza molto bassa. Inoltre, per lavoratori e familiari non erano previste pensioni o altre forme previdenziali ed assistenziali (furono estese all’agricoltura soltanto nel 1935 e ai coltivatori diretti, mezzadri e colon nel 1957). Pochi i proprietari terrieri, in genere discendenti dalle famiglie bellunesi nobili e benestanti come i Miari o i Doglioni e non solo, sicché le terre venivano lavorate a mezzadria dai coloni. I rari contadini proprietari di terreni dovevano giocoforza farsi aiutare dalle ‘opere’ (solo nella parte alta di Sedico vale a dire: Bolago, Libano, Barp, Peron oltre ai mezzadri c’erano pochi proprietari di limitati appezzamenti vicino a casa, qualche mucca ed una porzione di terreno in montagna adibita a bosco o pascolo, con rendita talmente scarsa che molti si vedevano costretti ad emigrare. Salvo eccezioni decisamente rare, i proprietari non si dannavano certo per apportare miglioramenti alle colture e-o agli allevamenti del bestiame e anche questo spiega perché dal 1620 (l’anno dell’introduzione nel Bellunese del granoturco ‘zea mais’) pare proprio non sia stato seminato alcun altro cereale ed i coloni dovevano accontentarsi dello scarso raccolto: i padroni infatti temevano che le innovazioni, sia per quanto riguarda i macchinari che la conduzione del podere, avrebbero potuto segnare la fine della mezzadria e del loro potere sui contadini. Fra i pochi tentativi di miglioramento va ricordato quello del nobile Giovanni Antonio de’ Manzoni che nei terreni attigui a Villa Pat fece esperimenti introducendo macchinari ed avviando una stalla modello per l’allevamento del bestiame selezionato, introducendo “il metodo di asciugar coi tubi di terra cotta, ottenendo ottimi risultati su una palude tra Gresal e la riva del Boscòn. La novità peraltro, dopo la Grande Guerra, fu rappresentata dalla messa in vendita da parte dei nobili ed altri grossi proprietari, tra il 1909 ed il 1925, forse perché in difficoltà finanziarie, di molti terreni che vennero acquistati da giovani agordini che, rientrati dall’emigrazione oltre oceano dove erano riusciti a mettere da parte somme importanti, si trasferirono con le famiglie nel territorio di Sedico, e anche da artigiani e commercianti del posto che propiziarono il rilevante cambiamento nella conduzione dei terreni e delle stalle. Venivano coltivati in particolare il ‘sorch’cioè il granoturco, il frumento, fagioli e patate, l’orto per erbe medicinali, il pollaio, le piante da frutto. E sorsero le prime latterie turnarie (prestigiosa quella didattica di Mas – ndr.) forse ad iniziativa degli agordini che conoscevano le tecniche di produzione del burro e dei formaggi, Quanto all’allevamento, ci si dedicava anche a pecore e montoni oltre che ai bovini. Poi le api, allevate in tutte o quasi le case coloniche e per lungo periodo anche i bachi da seta (non a caso a Mas nel 1931 funzionava uno stabilimento bacologico specializzato). De Vecchi concludeva, una volta ricordato che in comune di Sedico la malga di proprietà de Manzoni ospitava 120 bovini e 1200 pecore e montoni, evidenziando come “Lo spopolamento delle campagne e l’uso delle moderne macchine ha completamente rivoluzionato il sistema di lavoro e di vita degli agricoltori attuali, ponendo fine alla ‘civiltà contadina’ che, pur ricca di valori morali, rappresentava spesso (non dimentichiamolo) un periodo di fame e miseria”.
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro “Ricordando. Storia e immagini del comune di Sedico”): anno 1919, il cuore di Sedico in cui dominavano la Chiesa ed il Municipio; oltre la statale agordina si vede la Cal de Messa, allora soltanto un viottolo interpoderale; rudimentale pompa di legno con lungo spruzzatore per irrorare le viti di verderame; vendemmia a Peron nei vigneti della proprietà Roni, è il 1919; anche il più piccolo seguirà i parenti nei campi…; ora di raccolto: immortalate anche le scope di saggina; pollaio voce importante nell’economia familiare; ai Salet qualcuno si occupava di pastorizia; se l’annata era buona…; come una volta…; la ‘nida’ dopo il burro (immagine dal libro “Racconti Bellunesi” di Dino De Cian).