di RENATO BONA
Concludiamo con questo servizio la storia di una comunità, quella di Alleghe, per come è stata esposta dall’agordino prof. don Ferdinando Tamis in una prestigiosa pubblicazione che risale al gennaio del 1974, stampata dalla bellunese litotipografia Piave grazie al ricavato dalla vendita del libro dello stesso Tamis: “La Cattedrale di Belluno”. Nella copertina è riprodotta Alleghe vista dal pittore Luciano Piani; all’interno fotografie dell’alleghese Gianfranco Riva che – lo scriveva il prof. Bortolo Mastel nella presentazione – “illustrano panoramicamente l’opera impreziosendola, come del resto avviene con gli zinchi riproduttivi della trentina Tridentum”. L’Azione pastorale è il titolo dell’ultimo delle tre parti in cui si articolano le oltre cento pagine del volume. E spazia nei capitoli: “Da principio” (dove si può leggere che “E’ difficile dire come fosse organizzata la cura delle anime nella Cappella di Alleghe, ma non si è lontani dal vero nell’affermare che era solo saltuaria; l’Arcidiacono, venuto ad un accordo, si sarà obbligato di officiare la chiesa personalmente o per mezzo dei cappellani forse una volta al mese come fece con le cappelle che sorsero più tardi…). Prosegue con “Il diritto di patronato” (che ricorda come “la nomina del cappellano era un diritto dei capifamiglia, mentre la conferma o investitura aspettava all’Arcidiacono di Agordo” e aggiunge che “Era una forma assai comune del diritto antico che uno stesso sacerdote servisse due o più cappelle, completando la cura delle anime, che spettava al parroco principale: si stabilivano i punti dell’accordo, dove venivano fissati o confermati i diritti della pieve, i doveri del nuovo cappellano e gli obblighi della popolazione per il mantenimento; ma questa formula semplice era fonte di gelosie e liti, come prova un documento del 21 maggio 1464”). Ma… nel successivo capitolo intitolato “Lo smembramento” Tamis annuncia novità. Eccole: “Non erano solo le questioni e le liti che rendevano difficile la cura delle anime nelle cappelle, c’erano anche altre cause: così l’ arcidiacono Giovanni Cavassico dichiarava che nel 1487, durante la guerra, non si era trovato un sacerdote per le cappelle di Alleghe e Rocca ed egli per quasi tre mesi aveva dovuto esercitare personalmente la cura d’anime; poi, nel 1511, al tempo della Lega di Cambrai, il cappellano era stato fatto prigioniero dai lanzichenecchi e portato in Germania, pertanto si era dovuto ricorrere a un sostituto nominando un sacerdote incapace e per nulla esemplare. Tutti questi motivi, uniti al desiderio di maggiore autonomia da parte di una popolazione in continuo aumento, fecero nascere il desiderio di separarsi e fare da sé; nel 1542 i benefici di Rocca ed Alleghe furono divisi e ciascuna cappella provvide al mantenimento di un cappellano proprio, avviandosi a quella forma pastorale che è durata fino ai giorni nostri”. Tocca a: “Ricognizione della chiesa madre” dove l’autore ricorda che uno degli obblighi stabiliti dal diritto antico era quello della ricognizione della Chiesa Madre e cita un fatto: “… Anche i regolieri di Alleghe nel 1583 si lamentavano che l’Arcidiacono costringesse, il giorno di san Pietro e della Natività di Maria Santissima, il loro cappellano a recarsi ad Agordo per celebrare la messa, ciò che non avevano fatto gli altri…”. E veniamo al capitolo “Il culto eucaristico” dove si richiama fra l’altro l’istituzione della Confraternita del Santissimo (ad Alleghe avvenne nel 1606 ma già il 17 giugno 1576 erano stati dati i ‘Capitoli della Scuola del Sanctissimo Sacramento’ che dovevano servire per la chiesa di Agordo e le altre dell’Arcidiaconato) che veniva incoraggiata in tutte le forme “per favorire la divozione eucaristica”. Ci soffermiamo quindi su notizie relative a: “I Sacramenti”. Battesimo: davanti al Vescovo o al Vicario dovevano presentarsi le ostetriche per essere esaminate se conoscevano bene il modo di battezzare in caso di necessità; se non erano trovate ben preparate venivano sospese dal loro ufficio…”; Cresima: Nel 1549 si pubblicava nella chiesa arcidiaconale “che nessuno osasse far da padrino se non era cresimato e non si fosse accostato ai sacramenti nel tempo pasquale….”; “Eucarestia”: il curato, nel portare il viatico, usava una piccola pisside d’argento dentro una borsa di cuoio che appendeva al collo con un cordoncino di seta”; “Confessione”: “L’amministrazione del sacramento della Penitenza si faceva stando sulla porta della sagrestia e il sacerdote indossava la sola cotta”; “Estrema unzione”: si dava con facilità l’Olio Santo alle partorienti “che par che habbino questa opinione che l’Oglio Santo le facino facilmente partorire”; “Matrimoni”: durante la visita pastorale del 1573 si affermava che ad Alleghe non c’erano eretici, né scomunicati, né matrimoni clandestini, ma un solo usuraio: Zorzi de Franceschin da Pradel…”. L’ultima parte del libro è riservata a: “La visita dell’Arcidiacono” (in quella del 20 luglio 1583 si affermava che “…ad Alleghe i bestemmiatori erano pochi, ma si riscontravano diversi abusi…)”; “La scuola di catechismo”; “Notizie spicciole”.
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro di Ferdinando Tamis “Alleghe storia di una comunità”): la chiesa ricostruita nel 1783 con l’indicazione verso la facciata della parte rimasta in piedi dopo la grande frana; “Madonna della neve”, dipinto di ignoto del 1784; l’affresco “Il trionfo di San Biagio” di Valentino Rovisi; particolare della stessa opera; Alleghe nel 1895 prima dell’incendio; “Madonna e Santi”, dipinto di ignoto, di buona fattura; chiesa e campanile ricostruiti dopo l’incendio del 1899; ancora di Rovisi: “Martirio di San Biagio”; i parroci: don Alessio Marmolada; don Andrea Marcon; don Giuseppe Gregori; don Angelo Strim; la “Scala di Giacobbe” di Valentino Rovisi; l’autore del libro, lo scomparso prof. don Ferdinando Tamis.