di RENATO BONA
“Elda da sempre coltiva con passione soprattutto due amori, quello delle cartoline d’epoca, testimoni amabili ed eloquenti del passato, e quello per il suo paese, Longarone, cui la legano i ricordi dell’infanzia, la Longarone del ‘pre-Vajont’, un paese che oggi vive solo nelle foto e nella memoria, dopo che il tragico evento del 9 ottobre 1963 lo cancellò in pochi minuti”. Lo ha scritto l’ex sindaco Gioacchino Bratti nella presentazione del libro “Il lavoro nelle Valli del Piave e del Vajont prima del 9 ottobre 1963”, realizzato nel novembre 2008, nel 45. anniversario della catastrofe, a cura di Elda Deon Cardin con il patrocinio del Comune (impaginazione e stampa di Grafiche Longaronesi) e impreziosito da poesie di Eliana Olivotto. Ed aggiungeva: “Trattare le vicende del lavoro di Longarone e dei paesi vicini nelle sue varie forme è senz’altro entrare nell’essenziale della realtà della nostra terra, che proprio nel lavoro espresse tutta la sua anima e la sua vivacità, ponendosi così spesso al primo posto in Provincia. Lavoro che si manifestò nei famosi opifici che ressero a lungo la sorte dell’economia bellunese, nel commercio multiforme e inventivo, che affondava le sue radici nelle grandi famiglie che a partire dal XVII secolo crearono la nuova Longarone…”. E lo fecero – aggiungeva – nei trasporti, nell’ospitalità dei rinomati alberghi, che facevano del nostro paese tappa obbligata per chi dalla pianura saliva al Cadore, a Cortina o al Tirolo, come ci raccontano i dati dei viaggiatori di allora. Dunque una parte importante la svolsero anche gli alberghi e le trattorie, di cui si parla in apposito capitolo e dei quali ci occupiamo in questa occasione proponendo in apertura la riproduzione di una pubblicità – anno 1957 – dell’albergo Posta, raffigurante lo stemma del Comune di Longarone e quello della famiglia Scotti. Proprio Francesco Scotti, figlio di Ottorino, ha fornito all’autrice del libro notizie sull’albergo “alla Posta” che “nacque nel 1800 come smistamento posta e cambio cavalli gestito dalla famiglia De Zan, in particolare dalla mamma di Ottorino Scotti”. Ancora: dal 1934 e fino al 1955 venne gestito dalla famiglia Paiola quindi ristrutturato e dato in gestione per 7 anni al milanese Mario Mariani per il quale lavoravano, oltre a sua moglie, un cuoco, un aiuto cuoco, un direttore e tre camerieri. Elda Deon Cardin ha quindi proposto a proposito dell’albergo “La Lepre (Marina)” notizie che per la Guida Illustrata di Riccardo Volpe del 1896 erano state raccolte dalla viva voce di Piermarco Tovanella. E così si apprende che l’albergo fu il primo aperto a Longarone; acquistato poi dal conte Luigi Marina che vi aggiunse il suo nome. In occasione della Grande Guerra la dependance fu adibita a ospedale militare da campo. Nel 1934 l’acquisto da parte dei fratelli Giacomo e Antonio Tovanella; nel 1959 una grande ristrutturazione “che diede una veste più moderna all’ambiente”. L’albergo Roma (nella foto Breveglieri, collezione Elda Deon Cardin) era invece della famiglia di Pietro Monego fu Paolino che, nato a Longarone l’8 maggio 1867, iniziò l’attività come albergo e stallo il I gennaio 1901. Nel 1928 venne ceduto a Giulio Ferruccio Bottecchia il quale lo gestì fino al 1937: successivamente l’edificio fu adibito ad asilo infantile, gestito dalle suore della Sacra famiglia. Viene quindi proposta l’immagine (cartolina di inizio ‘900 riprodotta da fotografo sconosciuto, collezione Edc) dell’albergo “Alle Due Corone” di Castellavazzo di cui era proprietario e conduttore il cav. Angelo Mazzucco che si occupava anche di “vendita burro e formaggio naturale all’ingrosso”. Spazio anche per l’albergo ristorante a Roggia di Longarone di Luigi De Bona, classe 1900 (fu lui che acquistò nel 1939 da Odone Platner il fabbricato che si vede nella foto che fa parte della collezione Bruna De Bona); l’attività venne gestita dalla moglie di Luigi, Ermida De Cesero, pure originaria di Soffranco. Poi, fino alla fine degli anni ‘50, da persone esterne alla famiglia e quindi di nuovo dai De Bona, compreso il figlio Gianni e sorelle. Nella foto del 22 dicembre 1962 (collezione Bdb) l’interno della trattoria di Roggia con al banco le sorelle De Bona, da sinistra: Maria Grazia (perita nel disastro del Vajont), Bruna e Dina; in quella degli anni ‘60 (foto Edy Belluno, collezione Bdb): i fratelli Luigi e Bruna De Bona davanti all’esercizio. E siamo giunti alla Trattoria Munarin, alla curva di Faè (foto Ghedina anni ‘50, collezione Letizia Munarin). La casa era proprietà di G. Battista Protti ed era stata acquistata da Checchi Dal Fabbro per l’attività di produzione di bibite gazose; poi passò al maresciallo dei carabinieri Beniamino Munarin, veneziano, che nel 1942 era giunto a Longarone con la famiglia e che nel 1943 l’acquistò dopo il congedo e attivò un’osteria poi trasformata in trattoria con alloggio; purtroppo, tutto finì quella tragica notte del 9 ottobre 1963. Concludiamo con l’immagine del ristorante “Al Colomber”, lungo la pittoresca strada Longarone-Erto: sulla destra dell’orrido, il ponte omonimo, il più alto Italia con i suoi 138 metri (calcografia Gazzettino di Venezia anni ‘20, collezione Edc); quella dell’albergo Orazio Filippin a Erto (viaggiata il 24 maggio 1927, fotografo sconosciuto, collezione Edc); e quella di gruppo (foto Bruto Recalchi, collezione Umberto Olivier) che ci mostra Eloisa Bez e i suoi figli: da sinistra Oddone, Sofia, Dante e Aldo. A Codissago, per mezzo secolo, “la Bèza” era sinonimo di osteria e tabacchi dove operava Eloisa Bez (longaronese classe 1887) figlia di Vincenza Tesa e Pietro Bez il quale fra l’altro gestì per 20 anni l’albergo Marina. Eloisa “conduceva l’albergo con impegno, tanto da suscitare l’insofferenza del cuoco, proveniente dalle cucine imperiali asburgiche, il quale non nascondeva la sua gelosia del mestiere. Purtroppo, fu sposa e madre felice per troppo breve tempo: la carneficina del primo conflitto mondiale infatti la privò del marito Umberto Olivier “Tofolón” caduto sull’Ortigara “e mai più restituito alla pietà della sepoltura; e all’età di 29 anni si ritrovò vedova e con quattro orfani, il maggiore dei quali non aveva sei anni!