di RENATO BONA
Ricorre il cinquantaseiesimo anniversario della catastrofe di Mattmark, in Svizzera dove il 30 agosto del 1965 persero la vita 88 lavoratori, dei quali 56 erano italiani e fra questi ben 17 i bellunesi: Giancarlo Acquis – Belluno; Giovanni Baracco – Domegge di Cadore; Aldo Casal – Sospirolo, Fiorenzo Ciotti – Pieve di Cadore; Leo Coffen – Domegge di Cadore; Virginio Dal Borgo – Pieve d’Alpago; Lino D’Ambros – Seren del Grappa; Celestino Da Rech – Sedico; Silvio Da Rin – Domegge di Cadore; Arrigo De Michiel – Lorenzago; Igino Fedon – Domegge di Cadore; Mario Fiabane – Sedico; Pietro Lesana – Pieve di Cadore; Illio Pinazza – Domegge di Cadore; Rubelio Pinazza – Domegge di Cadore; Enzo Tabacchi – Pieve di Cadore; Giovanni Zasio – Sedico. A ricordo del doloroso evento l’associazione Bellunesi nel mondo presieduta da Oscar De Bona, la Famiglia ex emigrati Monte Pizzocco, oltre ai Comuni di Cesiomaggiore, San Gregorio nelle Alpi, Santa Giustina, Sedico e Sospirolo hanno curato l’organizzazione di una cerimonia commemorativa che si svolgerà domenica 29 a Mas di Sedico con questo programma: alle 11 ritrovo al parco “Vittime di Mattmark” nella via Buzzati, interventi delle autorità, ricordo delle vittime, benedizione e deposizione di una corona d’alloro di fronte al monumento ai Caduti sul lavoro e in emigrazione. Non mancheranno i gonfaloni dei Comuni di Sedico e Sospirolo ed i gagliardetti delle “famiglie ex emigranti” e degli ex alpini. Il nome Mattmark – come opportunamente scriveva qualche anno fa il pubblicista Roberto Bona (mio fratello – ndr.) per il Corriere delle Alpi – è connesso ad una delle più gravi tragedie in Svizzera e dell’emigrazione italiana in quel Paese: quella legata alla costruzione della diga a monte di Saas Almagell (di proprietà della società Mattmark AG è una costruzione in terra alta 120 metri, con base di 373 metri; il coronamento, percorso da una strada, è lungo 780 metri e largo 9; la diga ha un volume di 10 milioni e 500 mila metri cubi; il lago ha una capacità di 100 milioni di metri cubi d’acqua, una superficie di 176 ettari; la quota massima dell’opera si trova a 2.204 metri; il bacino accoglie le acque di fusione dei ghiacciai al nord delle Alpi ed è di tipo stagionale: si riempie durante l’estate; l’acqua viene utilizzata nel periodo invernale, per la produzione di energia idroelettrica) dove il crollo di un ghiacciaio seppellì nel cantiere di lavoro per la costruzione della diga stessa ben 88 operai – che avevano finito il proprio turno e si erano tranquillamente recati a mensa. Nel ricordo di Agostino Sacchet “un boato enorme, alle 17,13 di quel 30 agosto precedette una massa enorme di ghiaccio e sassi che rovinando sulla mensa la trasformò nella tomba degli operai, dei quali non furono mai recuperati i corpi rimasti sotto cinquanta metri di ghiaccio”. I lavori di costruzione della diga erano iniziati nel 1954 e furono terminati nel 1960. Poi ci furono interventi di impermeabilizzazione e di consolidamento dei terreni vicini, iniziati nel 1961 e terminati nel 1967, con una sospensione di un anno e mezzo. La diga si erge in fondo alla valle del torrente Saas, 550 metri più in alto del paese di Sass Almagel. Per la sua posizione, è visibile anche a molti chilometri di distanza. La struttura – era ancora Sacchet a precisarlo – è fisicamente lontana dal bellunese ma molto vicina per alcuni eventi: la costruzione dello sbarramento venne affidata alla impresa Electro-Watt s.a. di Zurigo, che utilizzava anche operai bellunesi; le opere di consolidamento furono affidate alla Swissboring, società svizzera di sondaggi e prospezioni, di Zurigo: molti degli operai erano Italiani, bellunesi in particolare. E poi c’è un collegamento con il Vajont. Nella primavera del 1964, qualche mese dopo la catastrofe del 9 ottobre 1963, Salisburgo ospita un convegno sulla meccanica delle rocce ed i partecipanti sono accompagnati in visita alla zona del Vajont dall’ing. Italo Vielmo, tecnico della Consonda. Nell’occasione, durante una pausa nella baracca dell’azienda, nella località Pascoli, venne chiesto al decano del gruppo, il glaciologo prof. Haefely dell’università di Zurigo, consulente dell’Electro-Watt, proprietaria della diga di Mattmark, di pronunciare alcune parole di circostanza: “Di fronte alla natura, ogni uomo deve sentirsi estremamente piccolo” fu la sua affermazione. Il 30 agosto 1965 il ghiacciaio pensile dell’Allalin, uno di quelli che Haefely doveva controllare, cade in blocco e distrugge le baracche degli operai, provocando gli 88 morti. Le baracche per i lavoratori erano state allestite proprio sotto un ghiacciaio pensile che non cadde a pezzi, come si pensava potesse fare, ma in unico blocco, proprio come era avvenuto per la frana del monte Toc sul Vajont… Mattmark suscita scalpore in tutta Europa. E’ la più grave catastrofe della storia svizzera dell’edilizia. All’inizio la tragedia viene ricondotta a evento naturale. I titoli dei giornali parlano infatti di “forza della montagna” e di “destino, morte e distruzione”. Poco dopo però iniziano a farsi strada le prime riflessioni sull’efficacia delle misure di sicurezza adottate. Nel documento “Vittime del lavoro” l’Unione sindacale svizzera (Uss) scrive: “dovremo pur chiederci se sono state adottate tutte le misure necessarie”. Il ghiacciaio di Allalin è sempre stato noto per la sua instabilità; eppure gli alloggi dei lavoratori sono stati costruiti proprio sotto il ghiacciaio, in una zona ad alto rischio. Il 17 settembre parte l’inchiesta e vengono disposte le prime perizie. La committente, l’Elektrowatt Ag, finisce sotto pressione. L’ombra della responsabilità grava però anche sull’Istituto nazionale svizzero dell’assicurazione infortuni (Insai, oggi Suva) e sulle autorità vallesane competenti per il rilascio delle autorizzazioni. Poco dopo la tragedia la direzione dei lavori decide la continuazione della costruzione della diga anche nella zona a rischio. Le voci di critica si moltiplicano, soprattutto in Italia. Le cause della tragedia vengono identificate nelle lacune delle misure di sicurezza. I tempi dell’inchiesta penale sono lunghissimi tanto che la prima udienza viene fissata solo sei anni e mezzo dopo la tragedia. Il 22 febbraio 1972 diciassette imputati tra cui direttori, ingegneri e funzionari Suva sono chiamati a rispondere delle loro azioni di fronte al Tribunale distrettuale di Visp. L’accusa è di omicidio colposo. La pena massima richiesta dal procuratore pubblico è solo il pagamento di multe da mille a duemila franchi. Una settimana dopo il tribunale assolve tutti gli imputati: la catastrofe non era prevedibile. Nella motivazione i giudici spiegano che una valanga di ghiaccio rappresenta una possibilità troppo remota per essere presa ragionevolmente in considerazione. Forti ondate di critiche si levano in tutto il Paese e all’estero. Il 18 marzo 1972 migliaia di migranti scendono in strada a Ginevra: chiedono giustizia per le vittime di Mattmark e denunciano il disprezzo per la vita dei lavoratori. Contro la sentenza viene presentato un ricorso al Tribunale cantonale di Sion. Alla fine del mese di settembre 1972 i tre giorni di udienza si concludono ancora una volta con l’assoluzione di tutti gli imputati. E l’obbligo per i familiari dei ricorrenti di pagare la metà delle spese processuali, decisione che suscita forte indignazione. Nel Parlamento italiano le voci critiche vedono nella sentenza una conferma dei pregiudizi elvetici contro i migranti. Cgil, Cisl e Uil protestano uniti contro una sentenza che definiscono inaccettabile. Il Governo italiano si dichiara pronto a farsi carico delle spese processuali tramite il fondo del consolato per la tutela giuridica costituito presso l’Ambasciata italiana a Berna. La giustizia vallesana non prende neanche in considerazione una remissione delle spese a favore delle famiglie delle vittime. In chiusura è doveroso ricordare che Pieve d’Alpago ricorda la tragedia con una piazzetta della frazione Quers, località natale di Virginio Dal Borgo, uno degli operai più anziani del cantiere e che Belluno, nel cinquantesimo, ha intitolato alle vittime di Mattmark il Parco di Mussoi.
NELLE FOTO (archivio Giovanni De Donà; Bellunesi nel Mondo; Wikipedia; L’Universaleditore; Photopress, fotografo Gassmann; Suva): il tristemente famoso ghiacciaio; la tragedia si è consumata; il cantiere di Mattmark; ancora il teatro del disastro; l’elenco delle vittime; il recupero di poche salme; operai bellunesi ai piedi del ghiacciaio; Renato Zulian e Livio Zanella davanti al cantiere il giorno 10: i pesanti mezzi meccanici verranno ridotti a scatolette dopo il tremendo impatto col ghiaccio; operai cadorini 15 giorni prima dell’infausto evento: da sinistra Licinio Da Deppo di Domegge, Livio Zanella di Lozzo, Renato Zulian di Domegge; si salvarono tutti; una Croce sul luogo del tragico evento; cerimonie commemorative; la targa dell’Abm; quella a Quers d’Alpago; l’intitolazione del Parco bellunese di Mussoi alle vittime di Mattmark; proteste per la mancata giustizia nei confronti dei parenti delle vittime.