BELLUNO Laura Pontin ed Augusto Burlon sono gli autori, fra l’altro, del pregevole volume intitolato “Araldica della provincia di Belluno”, edito nel novembre 2000 dall’Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali presieduto dal prof. don Sergio Sacco, e stampato dalla tipografia Piave, copertina di Claudia Pillinini Rigoni che raggruppa questi stemmi, dall’alto: Avoscano, Doglioni, Vecellio, Muffoni, Cesana. Il libro è articolato in due capitoli: Generalità (motivi dell’opera, storia dell’araldica. Criteri di scelta, grafica araldica, smalti e figure, la grafica araldica dei colori, partizioni, ripartizioni, convenevoli partizioni, pezze onorevoli e croci) e suddivisione per zone (Agordo, Belluno, Cadore, Feltre, Mel e Lentiai, Vescovi, Stemmi antichi di Comuni, Signorie; per tutti, introduzione, descrizione delle armi, tavole di stemmi). In questa occasione ci occupiamo del capitolo dedicato ai Vescovi in cui la Pontin spiega che “L’araldica ecclesiastica, per le particolarità che la contraddistinguono, costituisce forse un settore a se stante rispetto all’araldica generale, sebbene sia nei suoi sviluppi storici sia allo stato attuale esistano punti di contatto tra le due realtà d’indagine”. Storicamente – prosegue – la Chiesa, che proibisce ancor oggi agli ecclesiastici di far uso d’armi (Codice di Diritto Canonico) fu ostile all’adozione degli stemmi da parte del clero, a causa del legame con l’ambiente militare che li caratterizzava. Solamente dalla metà del XII secolo, in un periodo in cui gli stemmi si avviavano ormai a divenire segni di dignità personale più che elementi utili all’identificazione dei diversi combattenti sul campo di battaglia, l’uso araldico fu accettato da Roma. L’autrice ricorda quindi che “…Nel XVI secolo San Carlo Borromeo si scagliò ferocemente contro le cotte d’armi, giungendo nel corso di un sinodo diocesano a vietare di esibire stemmi su vesti liturgiche ed in luoghi sacri, ed ordinando la rimozione di tutti quelli che erano stati posti in tali posizioni nei precedenti sette anni, eccezion fatta per le tombe” e spiega che “La causa di tale opposizione, latente lungo tutta la storia della Chiesa, era in gran parte misura il timore che l’esposizione degli stemmi potesse divenire vana esibizione di gloria personale o famigliare, contrastante perciò con lo spirito evangelico che avrebbe dovuto caratterizzare i ministri di Roma”. La dott. Pontin richiama di seguito l’intervento di San Pio X che nell’introduzione a ‘Motu proprio inter multiplices curas’, atto che costituisce il più importante documento sulle leggi araldiche della Chiesa: in esso il Pontefice, denunciando l’usurpazione delle dignità dei vescovi genuini da parte di membri non autorizzati del clero, ribadì il divieto, per i prelati di grado inferiore a quello di vescovo, di portare tali insegne”. Puntualizza quindi che la rassegna degli stemmi vescovili è incompleta a causa di molteplici fattori e cita fra gli altri il caso dell’arma di Odorico Da Fallero (1047), quello di Ottone III (detto “di Torino”, vescovo di Belluno e Feltre tra il 1225 3e il 1235) e del più tardo Alberto di San Giorgio (vescovo di Belluno e Feltre tra il 1393 ed il 1398) dunque in epoca di pieno sviluppo dell’araldica. Ne consegue secondo Laura Pontin che “sicuramente pur non essendone rimasta testimonianza, fece uso di un’arme). E poi richiama la difficoltà di attribuzione ad una famiglia citando ad esempio il caso di Arbone, vescovo di Feltre nel 1096, che gli storici affermano appartenere alla nota famiglia Da Vidor, pur non esistendo alcuna testimonianza certa di tale legame. Conclude affermando che “In assenza di testimonianze sicure, problemi nella definizione di quali potessero essere gli stemmi utilizzati dai vescovi derivano anche dal non conoscere a quale ramo della famiglia appartenessero i prelati” e cita il caso del vescovo di Belluno e Feltre Drudo Da Camino, in carica nel 1199. La storiografia non è stata infatti in grado di accertare se egli appartenesse ai Da Camino di Sopra, e fosse quindi consanguineo del più tardo Tisone Da Camino (vescovo di Belluno e Feltre tra il 1246 e 1257) o appartenente piuttosto ai Da Camino di Sotto, presentando in tal caso colori invertiti rispetto allo stemma dell’episcopo Tisone. Dubbi permangono infine anche nella definizione degli stemmi di alcuni prelati vissuti in periodi successivi, come ad esempio nel caso del padovano Vincenzo Scarpa, vescovo di Belluno e Feltre nel 1854”. Nell’impossibilità, per evidenti ragioni di spazio, di illustrare le caratteristiche degli stemmi dei singoli vescovi, proponiamo quelle dei due pontefici bellunesi: Gregorio XVI (Bartolomeo Alberto Cappellari nato il 18 settembre 1765 a Belluno; deceduto il 1. giugno 1846 a Roma; cardinale con Papa Leone XII dal 13 marzo 1826; sepolto nella Basilica di San Pietro; è stato il 254. vescovo di Roma e papa dal 2 febbraio 1831 alla morte; apparteneva alla Congregazione camaldolese dell’Ordine di San Benedetto) e Giovanni Paolo I (Albino Luciani, nato il 17 ottobre 1912 a Canale d’Agordo in provincia di Belluno, eletto il 26 agosto 1978, morto il 28 settembre dello stesso anno; sepolto il 4 ottobre nella Basilica di San Pietro; è stato il 263. vescovo di Roma e papa della Chiesa cattolica, finora l’ultimo di nazionalità italiana, 5. sovrano dello Stato della Città del Vaticano, accanto agli altri titoli connessi al suo ufficio. Il primo stemma: partito; nel primo d’azzurro, al calice d’oro con due colombe affrontate d’argento in atto di bere al calice, sormontato da una cometa ondeggiante in palo del secondo (arma sociale della Religione Camaldolese); nel secondo troncato, nel primo d’azzurro, al cappello di nero, nel secondo d’argento; alla fascia di rosso, a tre stelle di sei punte d’argento attraversante; nel secondo stemma: d’azzurro a sei monti all’italiana d’argento moventi dalla punta, 3, 2, 1 accompagnati in capo da tre stelle di cinque punte d’oro male ordinate; capo d’argento, al leone di S. Marco d’oro, nimbato dello stesso, tenente un libro, pure d’oro, con la scritta “Pax Tibi Marce Evangelista Meus” di nero.
NELLE FOTO (Linkedin, Col Maòr, riproduzioni degli stemmi vescovili dal libro “Araldica”): Laura Pontin; Augusto Burlon; copertina del libro dell’Ibrsc; gli stemmi dei due papi bellunesi: Gregorio XVI e Giovanni Paolo I; e quelli dei vescovi presi in considerazione da Burlon-Pontin.