di RENATO BONA
ALPAGO Tra i “Personaggi illustri dell’Alpago e Ponte nelle Alpi” (titolo del libro del maestro Mario De Nale, edito nell’agosto del 1978 per i tipi della tipografia Piave di Belluno nel centenario di Placido Fabris, ad iniziativa del Centro sociale di educazione permanente di Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza e Belluno) figura anche il grande scenografo Pietro Bortoluzzi, conosciuto anche fuori dai confini nazionali come “Pieretto Bianco”. Ad essere pignoli, non sarebbe proprio alpagoto se non per il fatto che il padre Ferdinando (Francesca Podgornik la madre, di origini slave) era nativo di Tignes, frazione di Pieve, che era emigrato a Trieste per motivi di lavoro. Proprio nella città giuliana venne alla luce Pietro il 28 agosto 1875. Già a tre anni, quando aveva l’occasione di disporre di colori, gessi o carbone si divertiva a disegnare sulle mura delle case private e di edifici pubblici, insomma un writer (chi è solito fare segni e immagini sui muri utilizzando vernice o bombolette spray – ndr.) ante litteram, con conseguente disapprovazione di quanti si vedevano deturpare le facciate delle case… e una multa appioppata dal vigile! Tornato in Alpago dove nacquero le sorelle Amalia, Rosina ed Angelina, il padre, vani i tentativi di trovare lavoro “in casa”, si trasferì a Venezia, in calle larga San Marco dove trovò lavoro nell’osteria del cugino Antonio. Era il 1887 e Pieretto aveva 12 anni; conseguì la licenza elementare e frequentò lo studio di un pittore amico dello zio e, per un certo periodo anche l’Accademia approfondendo lo studio di Tintoretto e Tiepolo e rivelandosi un autodidatta straordinario. A Venezia il nostro “capì che la pittura era il vero scopo della sua esistenza e che la città lagunare doveva essere il pane della sua pittura” come scriveva De Nale. Il quale annotava anche che “Nell’autunno del 1872 si trovava a Tignes per trascorrere un breve periodo di vacanza… e nei pochi giorni di permanenza affrescò in modo sorprendente il salotto ed aqltri vani della nuova casa di Celeste D’Alpaos (Garna), ed è un vero peccato che poi, in seguito a successivi restauri, le pitture siano state ricoperte da una tinta uniforme. Egli aveva dipinto l’isola di San Giorgio, una gondola, un certo Sitran nella posizione di bere un bicchierino di grappa, un certo Roffarè in atteggiamento di bere un boccale di vino, il palazzo Ducale, il Lido di Venezia e un gondoliere che offriva un mazzo di fiori alla Madonna (fin dall’inizio della carriera i fiori avevano dunque attirato l’attenzione del pittore, pur vivendo egli nella città del mare, abbondante d’acqua, ma scarsa di aiole). Affrescò inoltre una facciata della latteria del paese, nella quale è ancora visibile una mucca”. Ancora lo scomparso Mario De Nale: “Se quell’anno era stato proclamato pittore dai suoi paesani di Tignes, la notorietà in campo più vasto poteva poi acquisirla due anni più tardi (1894) esponendo a Milano, con lusinghieri apprezzamenti, il suo primo quadro, ‘Vecchio suonatore’, quadro che, tuttavia, nel catalogo generale dell’artista figura al numero 1 come ‘Paesaggio difficile’ (cm. 130×109). Si tratta infatti del ritratto di Bortolo Schizzi di Tignes, colto nell’atteggiamento di suonare il violino, ed è ora esposto a Tignes, nel salotto della signora Giuliana Schizzi; esso risulta, più che altro, un saggio dei suoi studi sul Tiepolo e dei suoi primi contatti con l’ambiente lagunare colto specialmente negli aspetti più grigi; un quadro quindi nel quale predomina uno spinto grigioscuro con una forte tinta di rosso pure scuro misto ad una gamma impressionistica di idee ben distribuite rischiarate da quel flebile sprazzo di luce, col quale l’autore è poi riuscito a far scorgere la figura”. Si apprende quindi che, incoraggiato dal successo si staccò dalla famiglia per trasferirsi a Burano. E quel distacco si protrarrà per tutta la vita in quanto egli si recherà a salutare i genitori che in seguito erano tornati definitivamente a Tignes, pochissime volte; la sorelle Amalia infatti ne ricorderebbe solo due: una appena conclusa la strada nuova Tignes-Ponte delle Schiette e, in quell’occasione ebbe a lamentare che era troppo stretta; l’altra quando vi giunse per presentare la moglie, o compagna, ai familiari e ai parenti. Un distacco conseguenza dei troppi impegni di lavoro… Ed eccoci alle tappe più significative del suo brillante sentiero dell’arte: nel 1896 espone a Torino e l’anno dopo alla seconda Biennale d’arte di Venezia; nel 1898 di nuovo a Torino e nel 1903 alla quarta edizione della Biennale, poi ancora a Venezia prima di approdare a Roma nel 1911 e tornare in laguna per esporre a Ca’ Pesaro e alla X Biennale, nel 1912. Alla vigilia della Grande Guerra, nel 1914, è impegnato a Roma con i mosaici ed affreschi della Cappella di Villa Doria ,Pamphilis; l’anno seguente è a San Francisco, in California per decorare il padiglione italiano dell’Esposizione internazionale con “un magnifico pannello (m. 15 x 5,50) con circa un centinaio di ‘figure’ di una grandezza superiore al normale, sfolgoranti di colori e raffiguranti tutte le popolazioni terrestri; esso rappresentava il ‘Trionfo di Roma’ e contribuì in modo determinante a far assegnare il ‘Grand Prix’ a Pieretto Bianco”. Da allora fu tutto un susseguirsi di impegni a livello internazionale. E siamo al 1937 quando – ricorda l’autore del libro – “dopo aver preparato per la Scala le scene del ‘Silvano’ si recò a Genova per esporre una personale ma un banale incidente gli provocò una seria ferita al collo che lo costrinse a farsi ricoverare al ‘Rizzoli’ di Bologna dove per le sopravvenute complicazioni di una polmonite, si spense il 7 marzo dello stesso anno”. E così – è la conclusione del ricordo – “Con la fine dell’uomo che aveva riaperto e battuto la strada tracciata dai Renoir, Manet e Degas travolta dalla grande guerra, segnando una tappa fondamentale nella storia dell’arte, si spense anche un’epoca alzata come uno spauracchio davanti all’arte convenzionale per far rispendere un nuovo mondo pittorico”. Va da ultimo ricordato che a Pieretto Bianco è dedicata la via principale di Tignes.
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro del maestro Mario De Nale): l’artista Pietro Bortoluzzi noto come Pieretto Bianco; il suo autoritratto nella galleria degli Uffizi di Firenze; la signora Turner de Bianco, sua compagna; “La tripolina” dipinto nella casa Bortoluzzi di Belluno; “Il lavoro”, opera nell’aula consigliare di Puos d’Alpago; ancora “Lavoro”, accolto nella stessa sede; “Vecchio suonatore” (casa Schizzi di Tignes); “La spagnola” (o “Scialle spagnolo” altro lavoro di Bortoluzzi-Bianco; “Vaso di fiori”, olio su tela del 1932 messo all’asta dalla casa d’arte Fidesarte; la locandina con l’annuncio di una serata promossa nel luglio 2015 dal Comune di Puos in omaggio a Pieretto Bianco con illustrazione di Caterina De March, fra l’altro, della vita e delle opere dell’artista e in particolare di 7 grandi tele (su 14 realizzate nel 1912 per la decima edizione della Biennale veneziana, sotto il titolo “Il risveglio di Venezia) esposte nella sala del Municipio.