di RENATO BONA
“Il lavoro del legno, la trasformazione di prodotti naturali in cibi genuini, l’allevamento del bestiame tradizionale, lo sfruttamento dell’energia dell’acqua e del vento, la medicina del botanico, la gestione razionale delle popolazioni di selvatici, devono costituire mete cui tendere con ogni sforzo e al prezzo di grosse rinunce e sacrifici”. Quello che precede è un passaggio, a firma di Paolo Piccolo, nella presentazione di “Racconti bellunesi. Cultura contadina e artigianato della Val del Piave, tra Belluno e Feltre, in fotografia”, che è il titolo del libro che Dino De Cian, un amico di vecchia data, ha dato alle stampe (Tipografia Piave di Belluno) nel febbraio 1982 con l’Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali.
Secondo Piccolo, “Dino (con le sue fotografie che appartengono al periodo che va dal 1975 al 1981 – ndr.) scopre con fermezza che questi argomenti debbano ormai costituire la vera cultura dei paesi e delle città: nelle scuole minori, negli istituti e nelle università” e suggerisce che “Il ciclo della lavorazione del latte deve, per esempio, entrare d’obbligo nei programmi della scuola di ogni ordine e grado e deve essere argomento di tesi di laurea, con tutte le sue implicazioni sociali, ambientali e linguistiche che la cosa comporta; se non altro si eviterà di arrivare all’assurdo che un quartino di ‘coca-cola’ costi più di un litro di latte genuino”. Ma, sostiene in conclusione, il problema della rinascita artigiana e contadina della provincia è un problema politico ed amministrativo solo in parte, perché riguarda soprattutto gli insegnanti, i preti, gli artisti e gli scrittori, cioè quelli più indicati a far nascere nelle coscienze dei giovani il desiderio della terra e dell’artigianato come unica salvezza dall’angoscia, dalla nevrosi e da tutti gli altri mali che affliggono in modo terribile la vita d’oggi… Non attendiamoci perciò da altri la soluzione dei nostri problemi, ma iniziamo questa pacifica rivoluzione prima di tutto dentro noi stessi”.
In sintonia con quanto affermato da Paolo Piccolo, Dino De Cian che ha vissuto infanzia e giovinezza in campagna in quel di San Zenon di Sospirolo, luogo che ha in parte condizionato la sua vita, attraverso le sue splendide immagini prova a tornare alle radici per completare il processo di conversione e ricerca che lo ha stimolato a realizzare “Racconti Bellunesi”.
In sequenza, le immagini di questo sesto capitolo dei sette che compongono il libro, ci mostrano un antico roccolo di Cart di Feltre accompagnato dalla dicitura: “L’uccellagione è giustamente proibita in tutta la provincia e gli uccelli minuti sono qui protetti da leggi severe, Restano questi carpini disposti a rettangolo o in forma circolare, come ricordo di una attività d’aucupio (caccia agli uccelli con uso di reti – ndr.) non sempre dannosa o vile. Oggi pensano i diserbanti ed i veleni agricoli a portare la morte nelle schiere delle creature dell’aria!”. A seguire l’immagine di “Nidiacei che reclamano il cibo”, prima di quella intitolata “Il prigioniero” e della successiva: “Fame alla catena”. A seguire le due di: “Cavalli in Val Belluna” che precedono la foto di una “Femmina di muflone nei boschi di S. Gregorio”; e la “prova” dello “Spirito di adattamento” di alcuni uccelli. Tocca quindi a quella che si riferisce alla “Conversazione tripartita” fra gatti e alla “Capretta fenomeno di Sartena di S. Giustina”, che precede quella del capraio; spazio quindi per “Riti sanguinosi”; “porèi dentro le vanùie”; fuoco acceso per “bròar el porzèl”; si procede a “pelàr”; e quindi a “pikar” e “sbaldinàr”; e siamo a Roncoi di S. Gregorio dove ci si applica a “far su luganega”: Egidio Miotto alle prese con un ossocollo”; conclude la serie l’immagine con: “Il famoso Gildo Lise insegna al nipotino come si porge il sale alle mucche”.