di Renato Bona
La presentazione, ai primi di maggio dello scorso 2019 (curata da Stefania Canei; intervento critico dell’esperta d’arte Barbara Ceccato e partecipazione del Coro Antica Eco) nella chiesa di San Bartolomeo a Puos, della monografia che gli è stata riservata, ci offre il destro per proporre la figura e l’opera dell’incisore alpagoto Antonio Sandi. L’iniziativa del volume, curato da Dario Succi, noto conoscitore di pittura ed incisione del Settecento veneziano, era stata voluta dal Comune di Alpago in occasione della decima edizione dell’ottimo evento culturale “Mese del libro Alpago” (curato dallo scrittore Antonio G. Bortoluzzi e dal giornalista Ezio Franceschini) che ha così proposto al grande pubblico note biografiche ed una serie di immagini di opere “firmate” da Sandi, con vedute di Venezia e vari panorami della Laguna, una serie di prospettive di isole, i quattro Porti del mare ed una preziosa stampa della famosa Villa Pisani di Stra, nella Riviera del Brenta. Nel sito bellunopress.it si legge che: “Considerato dagli esperti un incisore versatile, Antonio Sandi, la cui vita lavorativa è trascorsa quasi interamente a Venezia, fa parte di quella schiera di professionisti dotati di una profonda conoscenza dei segreti della tecnica, di cui è ricca la storia dell’incisione veneta. Discepolo del bellunese Antonio Baratti, incisore fecondissimo al bulino e all’acquaforte, Sandi ha lasciato ai posteri anche una notevole produzione di carte topografiche, tra cui la Pianta del Prato della Valle (Padova) su disegno di Danieletti, La Veneta Laguna antica e moderna su disegno di Alvise Grandis, nonché la monumentale Topografia del Polesine di Rovigo, pubblicata da Viero nel 1786. Una specialità di Sandi, ricordata da Claudio Alpago Novello, sono ‘certi grandi quadri sinottici come l’Arbor Vitae aeternae e certe singolari doppie Tavole cronologiche edite dal Viero’”. La fama dell’incisore alpagoto ai tempi della nobiltà europea del Settecento – sottolinea – “resta legata alla serie di ventiquattro isole della laguna veneziana incise all’acquaforte e bulino, derivate da disegni di Francesco Tironi (1745-1797) unitamente alle quattro grandi stampe raffiguranti i porti del Lido, Chioggia, Malamocco e i Murazzi. Nella silloge Prospectuum Aedium Viarumque insigniorum Urbis Venetiarum (edita da Furlanetto nel 1763) furono inoltre inseriti nove rami incisi da Sandi, derivati da dipinti di Canaletto, Moretti, Guardi e Battaglioli”. Resta da dire che legato intimamente alla terra natale, Sandi rientrò a Puos, nell’ultimo periodo della sua vita, e morì nel 1817 l’anno, come ebbe modo di scrivere Alpago Novello nel 1940, “della disastrosa carestia di cui si conservò nel Bellunese il nefasto ricordo per tutto il secolo”. La libera enciclopedia Wikipedia precisa: nacque il 9 ottobre 1733 a Puos dove morì il 4 settembre 1817 e aggiunge che anche suo fratello Giuseppe (1763-1803) fu incisore e che l’incisione di Antonio “Vedute dell’isola di Mazzorbo, è conservata nel Metropolitan Museum. Il compianto maestro Mario De Nale non aveva perso l’occasione, nell’agosto 1978, quando diede alle stampe (tipografia bellunese Piave) ad iniziativa del Centro sociale di educazione permanente di Tambre e dell’Associazione emigranti bellunesi, col concorso della Regione Veneto e della Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza e Belluno, il libro “Personaggi illustri dell’Alpago e Ponte nelle Alpi”, per occuparsi anche di Sandi. E nel capitolo dedicato all’artista esordiva specificando che il nostro era figlio di Alessandro e della bellunese Alba Pastorini e che, dopo la scomparsa nel paese natio, in conseguenza di una colica, fu sepolto nel cimitero di Valzella, aggiungendo: “Fu discepolo di Antonio Baratti e Giuseppe Daniotto, e studiò nella ‘Scuola di Pietro Monaco’ dove si specializzò come incisore e, come tale, pur copiando dipinti di altri autori, rappresentando le loro idee nelle forme, egli riuscì ad elaborare nelle sue opere l’elemento più vivo della natura, ricavandone il bello e il sublime e risanando il buon gusto”. Secondo De Nale – che ribadisce il concetto espresso da altri secondo cui il capolavoro di Antonio Sandi è dato dalle 24 tavole dell’estuario veneto tratte dai disegni di Francesco Tironi – “Nelle sue incisioni di luce si ammirano chiese, rioni, isolotti, costumi dei popoli, canali con imbarcazioni, palazzi e piazze con passanti, tutto un insieme di movimenti ai quali lo stile del Sandi seppe imprimere anche i grandi valori umani come se avesse voluto farne le eredi dello spirito che esala dalle immagini incise; esse sono esposte nei musei di Venezia, Padova e Firenze”. Nel libro segue il dettagliato elenco delle opere “testimonianza indiscussa che induce a dare un posto meritevole nell’aureola dei grandi incisori veneti di valore nazionale e mondiale, almeno del suo tempo”.
NELLE FOTO (Riproduzioni dal libro di Mario De Nale; Katawiki, Wikipedia, Belluno Press): copertina della monografia dedicata ad Antonio Sandi; “Insula S. Iacobi in Palude” (Civico museo Correr di Venezia); “Medoaci, Medoacensique Littoria Prospectus” (Correr di Venezia); “L’isola di San Giorgio” e, sotto, l’isola di San Cristoforo”; Pianta della tenuta e Villa Querini ad Altichiero sul Brenta (non più esistente); Giove Dodoneo e fanciullo, disegno del 1792 di Giacomo Guarana, incisione di Sandi, fra i beni storici e artistici della diocesi di Trento.