BELLUNO Torniamo sull’interessante libro di Augusto Burlon e Laura Pontin “Araldica della Provincia di Belluno” edito (nel novembre di vent’anni fa con la tipografia Piave) dall’Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali guidato dal prof. don Sergio Sacco. E ci occupiamo del capitolo che riguarda i vescovi che si apre così: “L’araldica ecclesiastica, per lw particolarità che la contraddistinguono, costituisce forse un settore a se stante rispetto all’araldica generale, sebbene sia nei suoi sviluppi storici sia allo stato attuale esistano punti di contatto tra le due realtà d’indagine”. Burlon-Pontin rammentano che “Storicamente la Chiesa, che proibisce ancor oggi agli ecclesiastici di fsr uso d’armi (Codice di diritto canonico) fu ostile all’adozione degli stemmi da parte del clero, a causa del legame con l’ambiente militare che li caratterizzava”. E solamente dalla metà del XII secolo, in un periodo in cui gli stemmi si avviavano ormai a divenire segni di dignità personale più che elementi utili all’identificazione dei diversi combattenti sul campo di battaglia, l’uso araldico fu accettato da Roma. Ed “entrarono nell’uso della Chiesa principalmente grazie alla loro utilità come simboli-sigillo, sebbene almeno inizialmente vi siano state molte voci contrarie ad attribuire armi agli ecclesiastici”. Tanto che San Carlo Borromeo, ad esempio, “si scagliò ferocemente contro le cotte d’armi, giungendo nel corso di un sinodo diocesano a vietare di esibire stemmi su vesti liturgiche ed in luoghi sacri, ed ordinando la rimozione di tutti quelli che erano stati posti in tali posizioni nei precedenti sette anni, eccezion fatta per le tombe”. Oggi, così come per gli stemmi laici, anche per quelli ecclesiastici vale il principio della rappresentatività della persona cui il blasone si riferisce. E segue quindi la rassegna dei presuli col richiamo delle grosse difficoltà riscontrate nel “determinare la casata in cui i vari prelati appartenevamo, in parte a causa dell’oscurità che avvolge alcune figure, specie le più antiche, quali Ottone III (detto “di Torino”, vescovo di Belluno e Feltre tra il 1225 ed il 1235) ed il più tardo Alberto di San Giorgio (pure vescovo di Belluno e Feltre tra il 1393 ed il 1398, dunque in epoca di pieno sviluppo dell’araldica”. Altra difficoltà affrontata dai ricercatori la definizione del blasone appartenente ad un vescovo nell’impossibilitò di stabilire se esista continuità tra la famiglia antica e la sua omonima attuale, e citano ad esempio il caso di Anselmo da Braganza, vescovo di Belluno e Feltre tra 1200 e 1204 “di cui non è possibile stabilire se lo stemma attualmente riconosciutogli sia quello della famiglia feudale cui egli apparteneva e non soltanto l’arma attuale di un casato che, con quello dell’alto prelato, ha in comune solamente il nome”. L’elenco si apre con Giovanni Paolo I (Albino Luciani, il “Papa bellunese del sorriso – ndr.) 1978: “D’azzurro con sei monti all’italiana d’argento moventi dalla punta accompagnati in capo da tre stelle di cinque punte d’oro male ordinate; capo d’argento al leone di san Marco d’oro, nimbato, tenente un libro pure d’oro con la scritta “Pax Tibi Marce Evengelista Meus” di nero”. Segue il primo pontefice bellunese della storia: Gregorio XVI (Fra Mauro Cappellari (1831-1846): “Partito: nel primo d’azzurro al calice d’oro con due colombe affrontate d’argento in atto di bere al calice, sormontato da una cometa ondeggiante in palo del secondo (arma sociale della religione Camaldolese); nel secondo, troncato: nel primo d’azzuro, al cappello di nero, nel secondo d’argento; alla fascia di rosso, a tre stelle di sei punte d’argento, attraversante (Cappellari)”. Ci sono quindi, in rigoroso ordine alfabetico: Sebastiano Alcaini, Pietro Barozzi, Girolamo Enrico Beltramini Miazzi, Francesco Giovanni Bembo, quattro volte Giulio Berlendis, due volte Salvatore Bolognesi, altrettante fra Girolamo Bortignon, Giovanni Battista Bortoli, Anselmo Braganza, Pietro Brollo, Mosè Buffarello, Drudo Camino, Tiso Camino, Lorenzo, Tomaso e Filippo Maria Campegio, Giovanni Capogallo, Bernardo Maria Carenzoni, due volte Giovambattista Casali, tre volte Eleazaro Castello, due volte Giosuè Cattarossi, Francesco Cherubin, Manfredo Collalto, Domenico Condulmer, Gaspare Contarini, Giulio Contarini, Giacomo Costa, Simeone Difnico, quattro volte Giovanni Dolfin, Ludovico Donato Delle Rose, Maffeo Ducoli, Odorico Fallero, Angelo Fasolo. Ancora: Giuseppe Foschiani, Andrea Benedetto Ganassoni, Antonio Gava, Bartolomeo Gera, Agostino Gradenigo, Francesco Legname, Luigi Lollino, Zerbino Lugo, due volte Giorgia Lusa, Lanfranco Magdeburg, tre volte Giovanni Tommaso Malloni. Marchiani, due volte Andrea Minucci, Gioacchino Muccin, Antonio Nasseri, Galeso Nichesola, Alessandro Novello, due volte panfilo Persico, Antonio Pizzamanno, Antonio Polcenigo e Fanna, Belvederio Rambaldoni, Giovanni Renier, Bernardo Rossi, due volte Valerio Rota, Giacomo Rovellio, Giovambattista Sandi, due volte Giovanni Paolo Savio, Enrico Scarampi, due volte Gherardo Taccoli,Tommaso Tommasini, due volte Pier Maria Trevisano, Giovanni Battista Valier, Arbone Vidor, due volte Adalgerio Villalta, Heinrich Waldeck, Giacomo Zeno, Gaetano Zuanelli, due volte Luigi Zuppani. Concludiamo con l’attuale vescovo di Belluno-Feltre, monsignor Renato Marangoni che pure non è citato nel libro, per dire che il presule ha scelto come stemma uno scudo di foggia gotica, classico e frequentemente usato nell’antica ecclesiastica e una croce infogliata in oro, gemmata con cinque pietre rosse che richiamano le Cinque piaghe di Cristo. Il motto è: “Va’ dai miei fratelli”.
NELLE FOTO ( Wikipedia e riproduzioni dal libro “Araldica della Provincia di Belluno): il primo pontefice bellunese: Gregorio XVI; il “Papa bellunese del sorriso”: Albino Luciani Giovanni Paolo I, il compianto vescovo Maffeo Ducoli, il presule che attualmente guida la Diocesi Belluno-Feltre, Renato Marangoni; lo stemma di Carenzoni, quello di Contarini, quello di Ducoli, quello di Pietro Brollo recentemente scomparso; gli altri stemmi e da ultimo quello di Zuanelli e i due di Zuppani.