di Renato Bona
Era il gennaio 1977 quando, per i tipi della Tipografia Piave, l’Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali dava alle stampe il libro “Chiese scomparse di Belluno”, frutto di appassionate ricerche dell’architetto Mario Dal Mas e di don Attilio Giacobbi. In precedenti servizi ci siamo occupati della “rilettura” dei capitoli dedicati alla chiesa di San Lucano prima e di Sant’Andrea poi. In questa circostanza ci soffermiamo su quello riservato a Santa Croce, che si apre proponendo una tavola che sotto il titolo “La chiesa di S, Croce con le sue adiacenze” spiega: “Angolo di S. Croce, da un dipinto della fine del ‘700, che corrisponde alla descrizione del catastico del 1576. Intorno alla porta nord della chiesa alcune sculture, il campanile con l’orologio, il prato del cimitero e la stradina verso la casa del Priore; a destra il muro divisorio con la proprietà della famiglia Ponte; a sinistra il palazzetto medievale della Scola, gli orti affittati ai Colle e ai Regozza; dietro il campo de la vigna che si estendeva fino alle mura merlate della città”. Ancora Dal Mas-Giacobbi: “Tra la piazza dove termina via Mezzaterra e le mura meridionali della Città, si vede bene l’edificio della Chiesa col campanile, il cimitero davanti la strada che lo attraversa fino alla porta laterale, l’edicola medievale e forse una tomba monumentale sulla parte settentrionale. In evidenza sulla sinistra il palazzetto medievale di proprietà della Scola, sulla destra il muro che divide da casa Ponte la via che porta alla facciata e alla casa del Priore, unica ancora esistente. Non si vedono la sagrestia e la Scola dalla parte del brolo né la fontan circolare della piazza, oggi sistemata allla meglio in disparte”. Per quanto concerne l’architettura, i due autori rammentano che nell’anno 1365 “fu edificata in Cividale la chiesa di S. Croce della Disciplina nella contrada Ruvo dalla Fratalea de ditta Scola. La consacrazione avvenne il 26 aprile del 1368”. E spiegano che – costituisce il limite del costruito all’interno delle mura urbane, il fine e fondale dell’ultimo tratto della via Mezzaterra formava quasi una barriera, ed un invito a cambiare direzione per raggiungere la contrada di Ruvo per discendere da lì alla porta meridionale della città”. Una scelta, in quel lontano 300 assai ben meditata. Con la città ancora divisa da fazioni in continua lotta fra loro – sostengono Dal Mas-Giacobbi – si vuole erigere la chiesa a Patrona della propria contrada. Aggiungono poi che: “di ragguardevoli dimensioni per le sue antiche origini, di lunghezza passi 16 (m. 27,89) e larghezza passi 7 (circa m. 13,15) è stata concepita non soltanto come chiesa cittadina, per servire cioè alla contrada, ma anche per essere utilizzata come punto religioso di accoglimento per un numero maggiore di fedeli nel caso di calamità belliche”. Per quanto riguarda l’interno si legge che la grande sala è coperta con capriate a vista e vano presbiteriale, sollevato di due gradini rispetto al pavimento lastricato da quadroni di marmo, coperto a volta e distinto dalla chiesa sopra il gradino. Santa Croce, con i suoi cinque altari, è ricordata per le sue opere d’arte fra le quali “una custodia dorata custodita dalli quattro evangelisti d’intaglio del Sior Andrea Brustolon Bellunese vivente: vi è la Reliquia di S. Verissimo martire in un vaso d’argento, col suo cristallo trasparente di cui la Scola andava fiera; era stata donata dal Sig. Giovanni Pastori e l’Autentica si custodiva nell’Archivio della Scola . Ma il “quadro sopra ogni altro ammirabile e dai più intelligenti pregiato era vicino all’Altar di S. Lucia sopra la porta del campanile: una bellissima pittura del “Martirio di S. Lucia”, dipinta da Paolo Veronese. Concludiamo ricordando che “Sulle pareti della chiesa si scoprono espressi in dieci gran quadri da valorosi pennelli i misteri della nostra Redenzione”: cioè 1 la “Cena di Gesù Cristo”, 2. il “Bacio di Giuda”, 3 la “Cattura del Redentore” (di Antonio Aliense), 4 Gesù Cristo davanti a Pilato” di Domenico Tintoretto, 5. “Flagellazione” del già detto Aliense, 6 “Coronazione di Spine” di Domenico Tintoretto, 7 il “Portar della Croce” di Carletto Caliari, 8, la “Crocifissione” di Giacomo Palma il giovane, 9 la “Deposizione dalla Croce” di Andrea Vicentino, 10 la “Resurrezione” di Paolo Fiammingo. Il Notaio del 1723 dice solo che “Questi quadri cuoprono le muraglie di tutta la chiesa, con cornici d’intaglio dorate”.
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro “Chiese scomparse di Belluno”): dipinto di fine Settecento; particolare ingrandito della chiesa di Santa Croce desunto da incisione di F. Monaco; Santa Croce ad inizio 1800 tratta dal catasto napoleonico; la canonica e la casa del Priore; la chiesa nell’incisione di F. Bertelli del 1629; il palazzetto medievale sede della Scola della Disciplina nel 1955 poi demolito; pala dipinta da Francesco Vecellio, fratello di Tiziano (oggi al Museo civico di Belluno); calco in gesso della Madonna con Bambino; particolare della copertina in cuoio del messale 59.
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