BELLUNO L’11 giugno, nel corso di un’esercitazione della Stazione di Belluno del Soccorso Alpino, è stato effettuata un’importante esplorazione lungo la storica Via Italo-Polacca sulla parete sud-ovest del Burèl, divenuta negli anni ‘60 un problema alpinistico di primordine nelle Dolomiti, tale da suscitare le mire di alpinisti italiani e stranieri. La cosiddetta Via Italo-polacca o Via Centrale, per la dirittura dell’enorme diedro, situato nel mezzo della parete che caratterizza i 1480 metri di baratro divisi a metà da una stretta cengia, fu scalata per la prima volta da una cordata formata da due alpinisti italiani (Giorgio Garna e Gianni Gianeselli) e sette alpinisti polacchi, tra il 15 agosto e il 25 agosto del 1967. L’ascensione fu epica, celebrata e fece storia, seppur non priva di uno strascico polemico in merito alla conquista della parte alta della parete, dovuto ad un malinteso nel gruppo dei polacchi. Piero Rossi, che fu tra i promotori dell’assalto alla grande parete nel binomio italiano-polacco, in un’ottica d’internazionalizzazione della Schiara, fu tra i pacieri delle polemiche e successivamente scriverà la cronaca quotidiana di un’ascensione quanto mai flagellata da maltempo, infortuni, roccia friabile e difficoltà sostenute. La Stazione di Belluno ha dunque indagato sulla storia di questa via, simulando il raggiungimento e il recupero di una cordata in difficoltà, proprio alla base dei grandi soffitti superiori, quelli rimasti “inviolati” dal 1979. Tredici volontari, sbarcati con l’elicottero sul Van del Burèl, sono saliti ad un intaglio di cresta, sono passati in versante sud, hanno attrezzato una cengia sospesa sugli alti appicchi della Val de Piero fino all’uscita della Via Italo-polacca. Sono seguite cinque calate a corda doppia, l’ultima delle quali di 80 metri, fino alla sottile cengia dove fu ritratto Gianeselli nel corso della prima ascensione (26esimo tiro di corda), finora l’unica fotografia nota che documenti quei luoghi. Sono stati rivenuti i chiodi originali della prima ascensione e un cuneo, probabilmente infisso nel corso della prima invernale. È stato confermato un enorme franamento che ha trascinato a valle tre tetti di roccia e detriti, lasciando miracolosamente intatta la ventottesima sosta della via, quella determinante per fuggire dai grandi soffitti che chiudono la parete. In un ambiente di impressionate per la verticalità e l’esposizione al vuoto, si confermano le difficoltà tecniche dei passaggi e la precarietà della roccia, nonché la profonda stima per chi ha affrontato quei luoghi per la prima volta e, successivamente, in invernale e in solitaria.
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