di Renato Bona
“Erano tempi quelli dell’esordio di Giacomo e Cesare Riva (nel mondo della fotografia, in particolare a Calalzo di Cadore – ndr.) in cui non esistevano produzioni in serie di materiali sensibili per la fotografia. Toccava costruirseli; e forse in questo, più che non nello stesso fotografare, consistevano il lustro e l’orgoglio della ditta”. Quanto precede, firmato dallo scomparso giornalista Fiorello Zangrando, cadorino di Perarolo, (mio primo capo redazione a Il Gazzettino – ndr.) lo si può leggere sotto il titolo: “Dal Cadore, saluti e baci al bromuro” nell’ottimo”Un saluto dal Cadore”, libro di “Vecchie cartoline della raccolta Benito Pagnussat”, edito nel 1981 da Nuovi Sentieri di Bepi Pellegrinon (stampa Arti grafiche Tamari di Bologna). Il giornalista – che nella prima parte rendeva doveroso omaggio ai Riva fotografi cadorini – precisava che la carta sensibile, su cui la stampa si eseguiva mediante la luce solare, era cosparsa di uno strato di albumina. Le lastre di vetro, pel negasti ovo, erano spalmate d’una emulsione al collodio, ma ben presto apparve preferibile sostituirvi il bromuro d’argenti. Ricavavano questo metallo da vecchie monete e da altri oggetti comperati per poco dalla gente del paese”. Quindi riferiva che “Nel laboratorio dietro la piazza, sopra un improvvisato crogiolo, lo fondevano e lo colavano sulle lastre. Addetta alla fusione (vera custode del fuoco, come una vestale) era la moglie di Giacomo, Caterina”. Onore al merito della donna! Ogni soggetto per i Riva era da immortalare e dunque non si specializzarono in un genere ma ripresero ritratti e paesaggi, avvenimenti e scenette anche se a dire il vero pare proprio che preferissero soggetti di caccia e di montagna. Come che sia, Zangrando teneva a sottolineare che “In ogni settore eccelsero” E aggiungeva: “Nel paesaggio è rimasta celebre una veduta di Calalzo, eseguita intorno al ’70, equilibrata come un quadro, perfetta e pure morbidissima nel contrasto dei toni. Ma molte altre vedute composero i Riva in tutto il Cadore – le chiese e i cìdoli, i campi e le carrozze – in Carnia e nello Zoldano dove si recavano ogni due-tre anni, a turno, su richiesta di rivenditori e clienti”. Tra le composizioni di scena vanno certo ricordate alcune immagini che furono presentate in una esposizione internazionale in quel di Torino: “quella col calzolaio seduto davanti al deschetto coi suoi allievi, quella del falegname che pialla, quella della mamma che prepara il figlioletto per il sonno notturno”. Giacomo e Cesare Riva furono autori pure di numerosissimi e apprezzati ritratti e gruppi e va detto che ogni estate “erano numerosi i villeggianti, anche francesi e inglesi e tedeschi, che scendevano da Pieve, da Cortina e da Auronzo a Calalzo per farsi ritrarre ‘in sentoree pose’ formato cartoncino”. In proposito merita una citazione particolare quello che nel 1892 ebbe a soggetto Giosuè Carducci, ospite del Cadore nell’occasione in cui compose la famosissima ode: “L’opera è esemplare dello stile e della bravura di Giacomo e Cesare Riva: al centro dell’immagine è il cisposo poeta, alla sua destra sono Giacomo De Carlo con suo nipotino, nonché il professore Salomone Morpurgo, bibliotecario alla Riccardiana di Firenze. In alto si nota il ritratto di Michele Barbi, insigne cultore di studi danteschi, con accanto il professore Albino Zenatti. La fotografia, se risente una tendenza alquanto decorativa appare tuttavia rimarchevole per la plastica composizione e per un certo gusto di caratterizzazione. L’atmosfera boschereccia e montanina è suggerita bene anche dalla scenografia precisa e dal fondale con le Marmarole ed altre cime cadorine, opera egregia del calaltino Giovanni De Zardo, pittore di qualche merito”.
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro “Un saluto dal Cadore): la neve ha sepolto la piazza di Pieve; raduno in Piazza Tiziano si soci del Touring club; alcuni edifici della piazza pievese; la borgata Arsenale con la vecchia casa natale di Tiziano; ancora Pieve, immortalata di Guido Ciotti; il monumento di Urbano Nono dedicato a Pietro Calvi di Noale; soci del Touring e del Club Alpino italiano; cartolina ricordo del Cadore; un vecchio combattente veterano del 1848; immagine datata dell’albergo “Progresso”; gare di sci a Pozzale; antiche case rustiche in Borgo san Tomaso di Pozzale; Calalzo: paese largamente costruito col legno; e sempre a Calalzo: l’albergo Giacobbi di via Maggiore; l’albergo Marmarole dei fratelli Fanton; fino a Calalzo si arriva da Belluno con la ferrovia a scartamento normale sullo sfondo della stazione il monte Tudaio.