DI RENATO BONA
Va sotto il titolo “Lavori speciali” la quinta parte di “Racconti bellunesi. Cultura contadina e artigiana della Val del Piave, tra Belluno e Feltre, in fotografia”, realizzato nel febbraio del 1982 con la tipografia Piave, dall’Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali, con splendide immagini del sospirolese di San Zenon, Dino De Cian, e pregevoli testi, diciture comprese, di Paolo Piccolo. L’apertura di capitolo è riservata ai seggiolai (che nell’occasione fanno la parte del leone) e propone un’immagine risalente ai primi del Novecento, relativa a due valenti artigiani bellunesi del ramo, con Piccolo a commentare, per la categoria in generale: “Ecco gli ultimi vigorosi seggiolai che fanno la ‘karéga’ interamente con le mani, veri artisti del legno e della paglia; eccoli quasi completamente dimenticati o pronti per essere mostrati in piazza ai turisti…”. Introduciamo, a questo punto, prima delle altre fotografie, una considerazione dello stesso Piccolo: “…il problema della rinascita artigiana e contadina della provincia è un problema politico ed amministrativo solo in parte, perché riguarda soprattutto gli insegnanti, i preti, gli artisti e gli scrittori, cioè quelli più indicati a far nascere nelle coscienze dei giovani il desiderio della terra e dell’artigianato come unica salvezza dall’angoscia, dalla nevrosi e da tutti gli altri mali che affliggono in modo terribile la vita d’oggi, Come è noto infatti i politici si mettono in movimento solo quando l’istanza che vien rivolta loro è generale e pressante, cioè quando proviene con forza da tutto il popolo, Non attendiamo perciò da altri la soluzione dei nostri problemi, ma iniziamo questa pacifica rivoluzione prima di tutto dentro noi stessi”. In sintonia con Piccolo. Il prof. don Gigetto De Bortoli, curatore dell’introduzione, il quale fra l’altro, a proposito di quella che troppo spesso viene definita “opera eroica del contadino” sottolinea che “il contadino sa che nulla è più antieroico del suo lavoro, lavoro del tutto oscuro, che lo impegna totalmente con continuità massacrante, senza mai alcun bagliore, Se mai è eroico proprio per questo, ma la ‘falce e rastrello’ non possono essere per lui una bandiera, perché sono strumento di fatica e di vita, non un simbolo… Non opuò che essere un insulto fatto al ‘karegheta’ o ‘konza’ il comportamento del visitatore che sta ore ed ore ad ammirare e lodare il suo lavoro, e poi si ostina a non ammettere, per sé e per altri, che tale lavoro vada imparato ed eseguito, perché richiesto ed utile,,,!”. Torniamo alle immagini (le prime due sono riproduzioni di autore ignoto) e leggiamo: “I seggiolai delle nostre valli giravano l’Italia, l’Europa centrale ed altri pesi di fattoria in fattoria. La paglia si trovava lungo i fiumi, il legno proveniva usualmente dai carri in disuso e si adoperavano noce, frassino, ciliegio, acero ed altre essenze facilmente reperibili. Si usava un curioso gergo professionale per autodifesa, per segretezza e spesso per dileggiare i villici della Bassa. I termini erano costituiti da un singolare miscuglio di dialetto bellunese-agordino con rari prestiti magiari, slavi e germanici. Molto spesso v’è tutto un vocabolario di parole arrovesciate, simboliche, allusive o storpiate dal dialetto. Esempio: farina ‘la polverosa; il ferro ‘el erfe’, il gatto ‘el toga’, il formaggio ‘el scèk’, no ‘omo’, ragazza ‘balina’ (sloveno), vino ‘sborz (ungherese), acqua ‘mis’ (torrente e lago Mis), ladro ‘ spizaròl’. Grande ‘damugo’ (grande come il Danubio), seggiolaio ‘konza’, fucile ‘el stuz’ (da stuzen, germanico), bicchiere ‘al bosol’. Ed ecco una frase: ‘Kaluma la balina de l sàipa. Ke la ne porta krukol, scèk, zik e sborz’: guarda la ragazza del padrone che ci porta pane, formaggio, lardo e vino”. Poi, spazio a Carletto Casanova, fortissimo seggiolaio-artista di Sospirolo: lavora alla “kàora” con l’affilato “kortèl”, il pezzo viene bloccato dalla pressione del petto e dei piedi; ancora Carletto all’opera con “el kordòn”; “gaburo” e “paròn” fanno scorta di paglia per le sedie; San Zenon di Sospirolo: Piero De Cian mostra fasi dell’impagliatura di sedie; mani addestrate…; ancora pochi gesti veloci e la sedia sarà completa; altro lavoro: preparare la “sgnapa da troi”; è in azione la “rostidora” delle castagne; l’arte di asciugare al sole la pasta delle mele, base per “kodinzòi” e “kodinze” dell’Agnese Lise di San Zenon di Sospirolo; mele al sole; antico forno domestico per pane e dolci: quando la volta tonda assumeva una colorazione bianco-opaca per il calore si poteva infornare il pane; forno a Cergnai di Santa Giustina dove si usa ancora la legna al posto dell’elettricità; il lavoro di un forno tradizionale con mani esperte; impegno prima, soddisfazione poi…; “komaco” e “dof”: simboli di una fatica secolare in cui però i ritmi di lavoro erano meno convulsi di quelli odierni; conclusione a Gravazze di Meano di Santa Giustina: Sandro “Madone” con nipotina, consorte e cavallina in dolce attesa provvede a rincalzare le patate.