Nel maggio di 23 anni fa la prof. Rossella Padovani (che è stata fra l’altro mia valente collaboratrice quando dirigevo il settimanale “Settegi Dolomiti”) diede alle stampe con Grafiche Longaronesi il libretto (venti pagine copertine comprese; foto concesse da Mario D’Incà, Amabile Chinol, Albina De Menech “Maraga”, Francesca Nicolis Arban, Rossella Padovani; fonti orali lo stesso D’Incà, Isabella Morassutti e la Nicolis Arban, pronipoti del cav. Giovanni Lucchetti) “Una gita a Capodiponte”, iniziativa patrocinata dal Comune di Ponte nelle Alpi e dalla Comunità montana Bellunese. Si tratta della “Breve storia dello stabilimento idroterapico climatico La Vena d’Oro” di cui, in presentazione, l’allora assessore (ed oggi sindaco) di Ponte nelle Alpi, Paolo Vendramini scriveva: “La Vena d’Oro, fonte conosciuta fin dall’epoca romana, costituisce una delle zone più caratteristiche dell’intera provincia di Belluno” e definiva interessante lo studio attento, presente nel volumetto curato dalla Padovani. Dal canto suo il presidente della Comunità montana, Luigi Roccon si diceva convinto che la pubblicazione permette alla nostra comunità di conoscere o riscoprire l’importanza dell’utilizzo dell’acqua della sorgente Vena d’Oro sul finire del 1800, plaudendo all’iniziativa di Rossella Padovani che “illustra in tutto il suo fascino ottocentesco l’utilizzazione dell’acqua per scopi terapeutici all’interno dello stabilimento-albergo situato proprio nei pressi della omonima sorgente, che ha costituito per alcuni illustri personaggi dell’epoca, meta essenziale per una ‘remise en forme’. Una ricerca precisa e competente, con riferimenti storici e documenti inediti accompagnati da suggestive foto d’epoca, quali si possono trovare in queste pagine, sono conferma della validità dell’autore con l’augurio che l’impegno profuso trovi, anche in futuro, il giusto riconoscimento”. Ed eccoci alla “gita” all’antica Capodiponte oggi Ponte nelle Alpi. Secondo Padovani, “l’utilizzazione dell’acqua per scopi terapeutici (idroterapia) fu ciò che spinse il cav. Giovanni Maria Lucchetti, originario di Conegliano, a fondare uno stabilimento con annesso albergo, intorno al 1860, ma inaugurato il 13 luglio 1869 con regolare assistenza medica e direzione sanitaria…”. Un occhio alle tariffe e presa d’atto che fra le direttive della direzione sanitaria (dott. Occofer e dott. Berti) nonché della proprietà, vi era quella che precisava: “I conti si regolano ogni 8 giorni”: per la prima consultazione medica obbligatoria Lit 10, pensione giornaliera compresa la cura 7,50, senza la cura 6, ragazzi sotto i 10 anni, e “famigli dei bagnanti” 4. Ancora l’autrice a ricordare che “Tra un bagno caldo e uno freddo, tra docce a temperatura alternata, bagni di sole, ‘cure elettriche’, massaggi, fanghi che venivano portarti con le prime automobili poi cotti sul posto, la fama dello stabilimento durò fino all’inizio della prima guerra mondiale. Il numero dei bagnanti salì progressivamente da 12, anno dell’apertura, ad una media di sessanta circa verso il 1890; nel 1875 furono 84 e nel 1873 ci fu una lieve diminuzione ‘occasionata dal disastroso terremoto del 29 giugno’. Lo stabilimento però non soffrì alcun guasto materiale e la sua acqua si mantenne inalterata”. Risultati terapeutici? “Si ottenevano nei confronti di malattie del sistema muscolare e articolare e nelle nevrosi, e in un buon numero di donne che soffrivano di ‘malinconia’, ‘esaurimento nervoso per eccesso di lavoro’. Le vasche erano di rame poi anche in maiolica di Firenze, bellissime, con disegni in stile Liberty; attiravano clienti da tutto il Veneto, da varie regioni italiane, dall’Austria e dall’Ungheria”. Tanto per dire, venne ospitato anche il presidente del consiglio del nuovo Regno d’Italia, Giuseppe Zanardelli e, più volte, la regina Margherita, prima di recarsi a Perarolo e Misurina. Per i clienti erano organizzati originali divertimenti: feste da ballo, fuochi d’artificio, lawn-tennis, gite in zattera lungo il Piave fino a Mel (ritorno in carrozza o in automobile), passeggiate verso Col di Cugnan, Losego, Quantin, ai ruderi del Castello di San Giorgio, visita alle cave per la macina da molino. Dopo i fasti, la crisi: “L’immensa proprietà, dopo l’abbandono della prima guerra mondiale, venne venduta parte al dott. Praloran Giovanni fu Francesco, parte all’Industria bellunese alberghi, a Pietro De Castello e Valentino di Mainero oltre che alla Immobiliare adriatica di Venezia: il turismo d’élite si era già spostato verso cortina e la Vena d’Oro rimarrà tagliata fuori. E siamo al 1938 quando la Sade (che nel 1963 passerà all’Enel) inaugurerà la colonia per i figli dei dipendenti, utilizzando gli immobili dell’ormai ex stabilimento idroterapico. Che oggi rinominato “La cittadella a cielo aperto di Vena d’Oro” accoglie l’associazione “Insieme verso Nuovi orizzonti triveneto” una onlus che, in comodato d’uso gratuito, ha la sua sede operativa proprio nel famoso complesso che passo dopo passo, grazie a continui interventi di manutenzione e ristrutturazione punta a tornare agli antichi splendori e a realizzare i propri ambiziosi programmi muovendo dallo slogan: “Abbiamo ivisto vite cambiare. Abbiamo visto l’amore vincere!”. NELLE FOTO (riproduzioni dal libretto di Rossella Padovani): la copertina della pubblicazione; il cav. Giovanni Lucchetti; la cascata nel parco; una delle entrate ai bagni e alle vasche; gita in zattera lungo il Piave; il laghetto di Vena d’Oro; interno del caffè e biliardo; lo stabilimento idroterapico e climatico; 1938: primi bambini in colonia; Vena d’Oro oggi accoglie “Insieme verso nuovi orizzonti triveneto onlus”.