L’8 marzo del 1911 nasceva in quel di Belluno Paolo Cavinato le cui sintetiche note biografiche riportate nel libro intitolato al suo nome ed edito nell’agosto 1975 da Arti grafiche Tamari di Bologna per Nuovi Sentieri editore, precisano che “Ha conosciuto molti paesi anche perché coinvolto nelle vicende belliche del suo tempo. E’ stato internato in un lager tedesco. Pur radicato nella sua città natale, ove vive ed opera, ha considerato sue patrie anche Venezia e Parigi. Rientra nel grande filone della pittura veneta, di cui è, ai nostri giorni, genuino interprete con uno stile tutto suo personale. Le sue opere si trovano presso collezioni pubbliche e soprattutto in collezioni private”. Il volume di cui accennavamo, era stato dato alle stampe in occasione della mostra antologica di Falcade e Belluno che gli era stata dedicata nell’estate di trentacinque anni or sono. Frequentate le elementari a Genova, dove la famiglia, profuga, si era rifugiata, rientrò a Belluno e proseguì gli studi nell’istituto tecnico industriale “Girolamo Segato”, scoprendo allora la passione per la pittura. Divenuto ufficiale degli alpini, prese parte alla campagna d’Etiopia e combatté sul fronte greco-albanese e quello occidentale. Superata una grave malattia, venne trasferito al Corpo d’armata alpino di Bolzano dove l’8 settembre 1943, giorno dell’armistizio, si ritrovò a fronteggiare l’arrivo dei tedeschi dai quali fu fatto prigioniero e internato in campo di concentramento in Polonia prima e nel nord della Germania poi. Con l’annessione di Belluno, Trento e Bolzano al terzo Reich ed essendosi rifiutato di entrare nell’esercito, fu internato a Nordhorn e costretto a lavorare come operaio in una fabbrica tessile. Liberato e tornato a Belluno, divenne insegnante di disegno tecnico proprio all’Iti Segato. Viaggiò molto in Europa e sempre animato da grande interesse per la pittura andò alla scoperta di musei e opere di grandi artisti. Venezia e Parigi furono sempre le città preferite. Donne, frati, musicisti, figure, paesaggi sono temi privilegiati nel suo lavoro che continuò incessante, con notevole produzione pittorica di qualità fino alla morte che lo colse nel 1992. La critica Antonella Alban ebbe modo di scrivere di Cavinato: “Il linguaggio è essenziale, regolato da una approfondita conoscenza della storia dell’arte e dei movimenti delle avanguardie del ‘900, non mancano tuttavia echi di Venezia e della grande tradizione culturale ad essa collegata. I personaggi raffigurati fanno parte di un mondo misurato nei modi che si propone con compostezza di tratti e di toni. Sembra che il tempo sia rallentato per darci modo di cogliere con chiarezza la morbidezza delle forme, la grazia dei gesti, le delicatezza degli accostamenti. All’apparenza immobili…”. La libera enciclopedia Wikipedia tratteggia il suo profilo scrivendo fra l’altro che: “… Inizia la sua carriere artistica in particolare grazie alla frequentazione di artisti amici di Venezia, Milano e Parigi e alla partecipazione a numerose mostre presso la galleria “Cà Pesaro, al Premio Parigi a Cortina d’Ampezzo, alla mostra nazionale del bianco e nero a Reggio Emilia, a Villa Contarini di Piazzola sul Brenta e molte altre” e lo definisce: “Artista affascinante e molto apprezzato dalla critica, si contraddistingue per la morbidezza delle forme, l’eleganza delle figure, la cultura che traspare sottilmente dalle sue tele”. In occasione della duplice antologica di Falcade e Belluno dalla quale siamo partiti, Ugo Fasolo, pure lui bellunese, ebbe modo di affermare fra l’altro che: “E’ evidente nell’ampia raccolta delle opere di Cavinato il predominio della presenza umana ed insieme della partecipazione sentimentale. Nella testimonianza più direttamente rivelatrice rappresentata dai disegni il predominio si accentua. I disegni sono il primo e immediato concretarsi della sollecitazione iniziale quasi tutti essi delineano figure umane per lo più volti. Il segno sensibile dalla definizione precisa e lieve, oppure sottolineato nei tratti in cui l’interesse si sofferma nel suo svolgersi e l’aggiunto, immediato apporto del musicale completamento chiaroscurale, definiscono, penetrandola, l’individualità del personaggio, il suo silenzio, che viene trasformato nel sentimento lirico dell’assorta malinconia che è il leit-motiv della voce singolare di questo autentico artista. L’operare del Cavinato, con un linguaggio tutto proprio che può essere definito classico e nuovo contemporaneamente, sorpassa il dato accidentale, il tempo dell’accadimento, l’evento, per poi raggiungere, evitata la disperazione, quel consapevole assentimento all’attesa imprecisata che è forse il senso più nascosto dell’inquietudine del nostro tempo”. Nella stessa occasione e sempre nel libro prodotto dalla Nse di Bepi Pellegrinon, lo scomparso avvocato bellunese Flavio Dalle Mule offre un “Omaggio a Paolo Cavinato” evidenziando: “Paolo è nato a Belluno quando si preparava la guerra di Libia e di guerre ne ha vissute più d’una, e a lungo, compresa la prigionia nella piatta Germania del Nord; nulla ne è però passato nelle sue figurazioni, se non il ritratto di un prigioniero, Per converso, dove invece abbia preso frati, vescovi e santi (frati soprattutto) è e resta misterioso. Per me, all’origine v’è la spiritualità di un vestire fuori del tempo, unita ad una esasperazione espressiva che sta fra El Grego e Goya, un vestire che vale anche per il colore e la predilezione mi sembra vada per il bianco dei domenicani. Ma v’è, sotto, anche la vita solitaria, comunitaria e contemplativa, pur se vista nelle pause dedicate al lavoro manuale e al gioco…”. Dalle Mule così concludeva: “Esplosivo e tempestoso nelle sue espressioni verbali, nelle simpatie e antipatie, la sua compitezza di modi è invece proverbiale. Potremmo parlare di modestia e timidezza; che però sul piano dell’arte non fanno differenza con Cellini e Caravaggio, che erano rissosi e micidiali. Ma il suo è uno specchio di vivere civile e di solitaria ascesa di artista. Lo direi un Beato Angelico soprattutto profano, ma con un identico suo convento di S. Marco nel proprio studio; rifugio dal mondo e dall’effimero, dove lo stesso tormento dell’artista diventa creazione che trascende, felicità che sta sopra”. NELLE FOTO (riproduzioni del fotoservizio d’epoca di Zanfron, da”Paolo Cavinato”): l’artista bellunese; Ugo Fasolo; Flavio Dalle Mule; il libro-catalogo edito per l’antologica di Falcade e Belluno; Natura morta del 1930; Ritratto del 1938; Prigioniero polacco del 1944; Studio di testa del 1948; Venezia del 1950; Vescovo con gabbia, dello stesso anno; Clown pure del ’50; Frati pittori del 1954; Vicolo S. Maria dei Batutti , Belluno: Casa di tolleranza, tempera del 1954; San Martino del 1961; Monache a Venezia del 1967; Nudo di donna del 1948.