di RENATO BONA
Prima e seconda edizione rispettivamente nel marzo ed agosto 1989 (fotolito Eurocrom Villorba, composizione tipografia Piave Belluno, stampa Graphic group Feltre) del bellissimo libro di oltre 250 pagine “Belluno. Viaggio intorno a una provincia” edito per l’Amministrazione provinciale bellunese dalla Libreria Pilotto editrice di Feltre, su progetto e coordinamento editoriale del giornalista Maurizio Busatta. Fotografie di Cadorin, Dalla Giustina, De Vido, Riva e Sovilla. Sotto il titolo “Una riflessione e un impegno” la Giunta provinciale dell’epoca puntualizzava che “Ai bellunesi è dedicato questo lavoro per un momento di riflessione sulla civiltà, sulla storia, sulla cultura, sulle tradizioni oltreché sulle aspirazioni”. E a queste ultime si rivolgeva l’impegno della Provincia stessa, ente intermedio fra comunità montane, comuni e Regione Veneto, chiamati a collaborare “per attuare concreti interventi corrispondenti alle aspettative di tutta la popolazione bellunese”. Dal canto suo Busatta specificava: “… Le pagine che seguono non intendono affatto assolvere la funzione di guida. Scandite da fotografie che si possono gustare come un film, e scritte a più mani, queste testimonianze offrono al lettore una serie di contributi che, pur articolati per area e quindi di fatto proposti sotto la forma di ‘baedeker’ (guida tascabile per turisti . ndr.), tendono a raggiungere un obiettivo più complesso: la scoperta, o meglio l’identificazione dei ‘caratteri originari’ (sotto tutti i punti di vista) della Provincia di Belluno, del suo territorio, della sua gente”. E concludeva: “Un ‘viaggio’, il nostro, che comincia. Un sentiero che talvolta forse obbliga a cambiare passo (ma del resto non siamo in montagna?) e che alla fine, sinceramente, vorrebbe seminare spunti per ulteriori riflessioni”. Su “Le origini. Protostoria e storia antica” ha scritto Giovan Battista Pellegrini; su “Belluno. L’effetto città” Dino Conti; su “La valle del Piave, là dove muovevano le zattere, e Longarone, prima e dopo” Fiorello Zangrando il quale si è poi impegnato per “Alpago, Un loggione sulla Val Belluna” e su “Il bosco dei Dogi”; lo stesso Busatta su “Tra Belluno e Feltre, il cuore dello sviluppo”. Ancora: su “Lettere ed arti. Presenze ed assenze” Silvio Guarnieri; su “Il Feltrino”, Una città e un territorio ponte” Adriano Sernagiotto; su “Agordino. La nuova frontiera” Giuseppe Sorge; su “Società. La condizione migrante” Ulderico Bernardi; su “Zoldo. La valle del gelato chiama turismo” ancora Zangrando; su Istituzioni. La realtà delle Regole” Gian Candido De Martin; su “Cadore. Acqua, legno e occhiali” Giancarlo Pagogna; su “Comelico, La voglia di restare” Lucio Eicher Clere; su “Valle del Boite. Lungo la Strada Regia e Cortina, la Tradizione” Mario Ferruccio Belli; su “Foto di gruppo. Una comunità che cresce” di nuovo Busatta. In questa occasione ci soffermiamo sul capitolo “Comelico. La voglia di restare” opera del caro amico di lunga data Lucio Eicher Clere del quale è noto ed apprezzato l’impegno per concorrere alla valorizzazione e-o scoperta della cultura,e non solo, della terra dove vive. Eicher Clere esordisce richiamando il ritornello di una canzone popolare del Comelico: “Come è bello il Comelico, se non ci fosse la strada della Valle sarebbe un Paradiso” per ricordare che “la strada dla Val” iniziata nel 1838 ed aperta nel 1840 era un incubo: definitivamente risolto dopo anni di attesa, con l’inaugurazione della grande galleria, il 31 luglio 1986: un tunnel di 4 chilometri sotto il monte Piedo “opera di portata storica per il Comelico: una finestra per guardare oltre”. L’autore si chiede a questo punto: “Fine di un isolamento?” per poi esporre una serie di situazioni sulla realtà che “presenta le caratteristiche geografiche di valle separata, difficilmente accessibile, luogo di escursione, più che di permanenza” e dunque propendere per una risposta negativa. Sta di fatto – è ancora Lucio Eicher Clere a metterlo nero su bianco – che “Per amore o per necessità gli abitanti del Comelico si sono costruiti quest’angolo di vita con progressivi disboscamenti per creare spazio all’agricoltura ed all’allevamento, e lo hanno poi conservato in condizioni di obiettiva difficoltà”, eppure da questa terra non c’è stato l’esodo, è prevalsa la voglia di restare e la popolazione si è stabilizzata sulle diecimila unità ed anche nei paesi più piccoli “si assiste ad un fiorire di inizative che testimoniano la caparbia volontà di ricercare soluzioni per rimanere”. Dopo fasi alterne che ad esempio a Costa (paese ricostruito con case in muratura dopo il devastante incendio del 1893, destino comune a quasi tutti i centri abitati del Comelico) vide l’agricoltura in profonda crisi per l’abbandono di molte delle forze giovani e produttive, con fienili chiusi e prati abbandonati, nel 1957 ecco l’idea: costituire una società per l’incremento zootecnico, con lo scopo di rianimare l’economia rurale. E così alla crisi degli anni Sessanta subentrò il realismo rappresentato dalla Regola, istituzione comunitaria nata “per la necessità economica di mantenere indivisi i boschi ed i pascoli per un migliore uso”. Ridando interesse all’impiego di giovani, donne ed anche anziani in agricoltura, con un’operazione valida anche dal punto di vista culturale”. E a proposito di cultura, Lucio Eicher Clere sottolinea che “Il ladino del Comelico è vivo, perché parlato ancora dalla quasi totalità della popolazione. Ma rischia lo svuotamento di significato e l’inevitabile assorbimento nella lingua dominante”. Pericolo avvertito in particolare a Costalta dove “è maturata la proposta di non limitare la ricerca al passato ma di estenderla alla creazione di testi poetici, racconti e canzoni che non guardino nostalgicamente al tempo andato ma parlino dell’oggi”. Conclude dando spazio al “Turismo a misura di paese” e citando Sappada (all’epoca non ancora passata nella Regione Friuli Venezia Giulia . ndr.) “che ormai gode di fama internazionale ma conserva abbastanza gelosamente le particolarità ambientali accanto a quelle etnico-culturali; e conVal Visdende “esempio di terra, seppure disagiata e provata dalle calamità naturali e dalla negligenza umana, che ha conservato una integrità invidiabile”.
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro “Belluno. Viaggio intorno a una provincia” e Google): Lucio Eicher Clere, autore del capitolo dedicato al Comelico; Palazzo Poli De Pol a San Pietro di Cadore; panoramica di Santo Stefano di Cadore; Danta, appollaiata in cima al colle; palazzo patrizio di Candide; San Nicolò; Dosoledo nel Comelico di Sopra; covoni di fieno a San Pietro di Cadore; la macchina del tempo nelle valli del Comelico ruota attorno a un microcosmo peculiare che attinge al codice genetico di timbro ladino; primavera a Sappada in festa; boschi d’abete; forte la “magia verde” della Val Visdende.