E’ stato curato da Lucio Eicher Clere (operatore e animatore culturale, un caro amico e, in passato, collaboratore prezioso, di chi stende queste note – ndr.) il capitolo “Comelico voglia di restare”, componente importante del libro “Belluno. Viaggio intorno a una provincia” edito nel 1989 per l’Amministrazione provinciale di Belluno da Libreria Pilotto editrice di Feltre, stampato da Grapich group, pure di Feltre, fotolito Eurocrom 4 di Villorba, composizione della tipografia Piave di Belluno, fotografie di Cadorin, Dalla Giustina, De Vido, Riva, Sovilla, piano dell’opera, progetto e coordinamento editoriale a cura di Maurizio Busatta. In apertura il “contributo” di Eicher Clere cita la strada che da Cima Gogna raggiungeva Santo Stefano: “incavata nella roccia che strapiomba sul Piave, quasi un sentiero del purgatorio dantesco, era la pena di dieci chilometri che doveva scontare chiunque volesse raggiungere il ‘paradiso’ del Comelico: curve a ridosso delle rocce, strettoie, gallerie paraneve, pietre precipitanti senza avviso, valanghe ad ogni nevicata”. Prima di dire che la “strada dla Val” , definita un incubo per i ‘comeliane’ (“annosa e mai risolta la disputa sulla forma italiana del termine ladino, con il quale sono definiti gli abitanti del Comelico: comelicani, comelicensi, comelicesi, comeliani?), fu iniziata nel 1839 ed aperta nel 1840, l’autore sostiene che l’incubo fu definitivamente risolto con l’inaugurazione della grande galleria, il 31 luglio 1986, definita “opera di portata storica per il Comelico: una finestra per guardare oltre” i paesi di Casada, Campitello, Costalissoio, Costa, San Nicolò, Gera, Candide, Casamazzagno, Dosoledo, Padola, Danta della valle verso nord-ovest e: Santo Stefano, Campolongo, Mare, San Pietro, Costalta, Valle, Presenaio e Sappada da quella di nord-est. Procedendo nell’illustrazione del “suo” Comelico, Lucio Eicher Clere scrive: “…Per chi apprezza le bellezze paesaggistiche l’integrità del patrimonio boschivo, i prati falciati anche ad alta quota, il non eccessivo guasto edilizio sono testimonianze di cura e rispetto del proprio ambiente e così “per amore o per necessità, gli abitanti del Comelico si sono costruiti quest’angolo di vita con progressivi disboscamenti per creare spazio per l’agricoltura ed all’allevamento, e lo hanno poi conservato in condizioni di obiettiva difficoltà: un’altezza media sul livello del mare di 1200 metri, dai 900 di Santo Stefano ai 1400 di Danta, un territorio disposto per gran parte in pendio, condizioni climatiche rigide, che consentono la coltivazione di pochissime specie di prodotti agricoli”. Tuttavia – sottolinea – “da questa terra non c’è stato l’esodo: nei ‘comeliane’ è prevalsa la voglia di restare”. Lo conferma il fatto che dopo l’emigrazione degli anni 50-60, che vide la partenza di circa duemila persone, nell’ultimo decennio la popolazione del Comelico si è stabilizzata sulle diecimila unità con fenomeni migratori solo marginali. Nemmeno nei paesi più piccoli ed isolati si è registrati spopolamento. Anzi, proprio in questi si assiste ad un fiorire di iniziative, che testimoniano la caparbia volontà di ricercare soluzioni per rimanere”. Ed eccoci alle Regole. L’autore ricorda che nel 1957 nasceva l’idea di una società “per l’incremento zootecnico di Costa” con lo scopo di ridare vita all’economia rurale. Si tentò con successo il superamento della frammentazione fondiaria, con la riunificazione dei tanti piccoli apprezzamenti; si progettarono nuovi indirizzi produttivi per il bestiame da allevamento. Si costruirono una stalla sociale, un impianto di fertirrigazione, una centralina elettrica e strade di miglioramento fondiario, però la società non riuscì a decollare. Ma alla crisi degli anni Sessanta, alle speranze ed ai progetti forse troppo ambiziosi subentra il realismo. A farsene interprete è la Regola come risposta alla necessità”. Proprio quelle realtà che per un millennio avevano guidato la vita comunitaria dei ‘comeliane’ e nel 1806 erano state esautorare con il trasferimento dell’amministrazione dei beni al nuovo Comune. Tuttavia “la tradizione resistette e, dopo 150 anni, con la legge 1104 del 1948 poterono riprendere vita autonoma anche se poi “il loro ruolo si riduceva a quello di enti di beneficenza…”. Significativa dunque la scelta operata dalla regola di Costa che nel 1977, con deliberazione dell’assemblea generale dei regolieri decise di acquisire le strutture dell’agonizzante Società per l’incremento zootecnico di Costa, e di impostare un programma che vede la Regola impegnarsi come ente nella gestione dell’attività agricola. Così “ridando interesse all’impiego di giovani, donne ed anche anziani in agricoltura, la Regola ha riscoperto il suo vero ruolo sociale, compiendo un’operazione valida anche dal punto di vista culturale” imprimendo un decisivo impulso alla cultura e puntando su un turismo a misura di paese, guardando, fra l’altro, al ‘parco’ del Comelico. Qui Lucio Eicher Clere evidenzia come “La teoria da molti sostenuta che l’uomo può continuare a vivere in montagna solo se sfrutta al massimo le risorse ambientali, si è rivelata, alla verifica dei fatti, negativa. In Comelico, al contrario si dimostra che il montanaro può trovare motivazioni per viverci rispettando il suo ambiente…”. In proposito cita la Val Visdende dove “da secoli la permanenza estiva degli agricoltori nelle casere, esempio attualizzato di come ebbe inizio l’insediamento umano in Comelico un millennio fa; gli spazi creati dall’uomo per i prati ed i pascoli sono rimasti invariati; i boschi, pur sottoposti annualmente a tagli, coprono omogeneamente i pendii che, dal fondovalle salgono verso i monti, cornice e protezione di questo gioiello paesaggistico. Ora la Val Visdende è invasa da migliaia di persone in estate, alla ricerca di verde e d’aria pura; ma in modo disordinato e con conseguenti dissesti. Qui la Regione del Veneto ha previsto, nel suo piano territoriale, l’istituzione di un parco naturale. Ma prima dei legislatori regionali, gli abitanti del Comelico hanno tutelato la Val Visdende come parco. Le Regole, proprietarie della quasi totalità del territorio, hanno sempre gelosamente difeso i loro boschi, le loro rocce, i loro prati, opponendosi ai ripetuti tentativi di sfruttamento della valle a scopi idroelettrici prima e turistici poi. Alle abitudini locali quindi, più che altrove, possono trovare ispirazione quanti vogliono regolamentare il territorio”.
NELLE FOTO (riproduzioni dal libro “Belluno. Viaggio intorno a una Provincia”): Palazzo Poli De Pol a San Pietro di Cadore (XVII secolo) eretto utilizzando disegni di Baldassarre Longhena e affrescato da Girolamo Pellegrini; Lucio Eicher Clere, autore del capitolo sul Comelico nel libro coordinato da Maurizio Busatta; un occhio sui 4 comuni del Comelico, lambiti dal torrente Padola prima di confluire nel Piave a Santo Stefano che vediamo investito da giochi di luce; Danta, appollaiata in cima al colle tenta una sintesi di stili antichi e moderni; palazzo patrizio di Candide di Comelico Superiore; il campanile di San Nicolò; Dosoledo, nel Comelico di Sopra: in primo piano fienili in legno disposti verso valle davanti alle case in muratura; covoni di fieno a San Pietro di Cadore; in Comelico la macchina del tempo ruota attorno a un microcosmo peculiare che attinge al codice genetico di timbro ladino; scorcio di Sappada con le originali architetture del paese; dimensione invernale nello scenario della Terza Grande; boschi di abete; paesaggio con la magia verde della Val Visdende.