di RENATO BONA
Volentieri , sempre accompagnati dal libro-guida “Una giornata a Belluno”, edito nel dicembre 1993 dall’Istituto bellunese di ricerche sociali e culturali (Bertoncello arti grafiche di Cittadella; testi del Gruppo operatori culturali con Andrea Basile, Sandra Bardin, Mariagrazia Bortot, Federico Bressan, Sergio Sacco; foto a colori di Giorgio Ghe; foto in bianco e nero di Gigetto De BortolI; cartina topografica dello studio tecnico dell’architetto Roberto Reolon; traduzioni curate dalla scuola di lingue “Marco Polo”) visitiamo un’altra porzione di “Belluno città splendente”. Partiamo dal cinquecentesco Palazzo Crepadona (dove stanno per essere ultimati importanti lavori di restauro – ndr.) che il Comune ha destinato a Centro culturale polifunzionale. Si spiega che “la composizione edilizia è certamente veneziana. Ospita la Biblioteca civica, un salone per convegni e salette per riunioni. Il sottotetto, con il suggestivo gioco di antiche travature è diventato saletta per audizioni e l’‘altana’ è una meravigliosa balconata sulla Città”. Ancora: Il bel cortile è ornato da portici e sovrastato da splendidi loggiati, ora divenuti gallerie. E’ di linee purissime e si sviluppa in forme inconsuete per permettere l’accesso, attraverso la scala, al piano superiore. Ospita il Sarcofago di Flavio Ostilio e della moglie Domizia che era stato rinvenuto durante gli scavi di fondazione del campanile di Santo Stefano nel 1480. In proposito, una curiosità:il sarcofago che ha ai lati scene di caccia, personaggi e ornamenti vari “porta una scritta in latino con una chiusa in greco di sapore misterico, che suona: ‘Sii vigile e rallegrati ricordando sempre i tuoi monti’”. Ed eccoci nella vicina Piazza dei Martiri che nei secoli ha avuto diversi nomi: dal “Campo di Marte” dell’antichità a Piazza Campedel perché era il ‘piccolo campo’ a ridosso delle mura dove si svolgevano esercitazioni, fiere, mercati, parate, raduni; poi per quasi un secolo fu Piazza del Papa in onore del bellunese Gregorio XVI; infine Piazza dei Martiri a ricordo dei quattro partigiani impiccati dai tedeschi. Attualmente è il centro commerciale della Città. Nella stessa piazza nel 1561 è stata eretta la chiesa in onore di San Rocco “per essere liberati dalla peste”. Restaurata nel 1856, si presenta sulla piazza con una facciata di aspetto complessivamente rinascimentale, abbellita da due finestre allungate e dalla nicchia con la statua del Santo. Le pitture esterne, di ignoto frescante cinquecentesco, rappresentano la Crocifissione con i santi Rocco e Sebastiano e La Vergine con i santi Cosma e Damiano; sopra la porta una lunetta con “Belluno nel ‘500’”. All’interno, a navata unica, varie importanti opere: Estasi di San Francesco, autore Gaspare Diziani, tabernacolo in legno di Valentino Panciera Besarel, un’Assunzione, probabilmente realizzata da Cesare Vecellio; di Luigi Cima il San Giovanni Bosco nell’altare di sinistra. Ancora in Piazza per Palazzo Cappellari della Colomba, famiglia di Papa Gregorio XVI, voluto dal nipote del pontefice e costruito nel 1836 su disegno del Segusini. Arriviamo al Teatro comunale, progettato dallo stesso Giuseppe Segusini e considerato “edificio eminente”, di concezione neoclassica con la facciata impostata su quattro poderose colonne con gradinate e atrio che “richiamano lo stile di alcune ville venete”. Di sapore settecentesco l’attico superiore con 4 statue acquistate dagli eredi di Antonio Canova; i bassorilievi con Orfeo ed Euridice sono invece di Pietro Zandomeneghi. Poche decine di metri e siamo nella Piazza Santo Stefano dove sorge la Chiesa dei santi Biagio e Stefano “uno dei monumenti più prestigiosi della Città, collocata in una armoniosa piazzetta, caratterizzata da una fontana in pietra del 1573”. Ignoto il progettista dell’edificio sacro è certo che la costruzione è stata conclusa nel 1485. La facciata in pietra a vista è ornata da un bel rosone lobato mentre due occhi, di diametro inferiore, sono posti a quota leggermente più bassa. Le porte in bronzo sono dello scultore agordino Dante Moro e propongono scene della Genesi e del Nuovo Testamento. L’interno: chiesa impostata su tre navate con “aspetto di suggestiva bellezza”, ospita parecchi dipinti di pittori famosi come: Cesare Vecellio, Jacopo da Montagnana, Francesco Frigimelica il Vecchio, Agostino Ridolfi, Antonio Lazzarini. Due bellissimi angeli portalampade ed il piedestallo sono di Andrea Brustolon. Concludiamo con Porta Dojona e Palazzo Minerva. La prima chiamata Dojona in onore di un vescovo è conosciuta anche come “Porta delle catene” per l’antica presenza del ponte levatoio. Costruita nel 1553 è in stile rinascimentale come confermano le colonne su alti piedistalli, l’architrave lavorato a triglifi, le due cariatidi ai lati del leone di San Marco. L’alternanza di vuoti e pieni, quindi di luci ed ombre “dà un senso di severità all’insieme”. La parte sud ha ancora due antichissimi portali. Il “”Minerva”: palazzo costruito a fine Settecento su disegno di Francesco Maria Preti. Per un certo periodo sede del cenacolo dei poeti e letterati, l’accademia degli Anistamici (o Risorti) “che tanto lustro hanno dato, allora, alla Città. La facciata è dimensionata dal portico e dal timpano triangolare, caratterizzata da regolari quadrature formate da linee orizzontali e colonne; è abbellita da molti ornamenti in pietra, come i simboli a bassorilievo sulla trabeazione a mo’ di triglifi e metope dei templi greci, con oggetti vari: vomere, innesto, compasso, squadra, cannocchiale, mappamondo, vanga, ruota.