Rispetto allo stesso periodo del 2018, anche nel mese di marzo di quest’anno [1], fa sapere l’Ufficio studi della CGIA, i finanziamenti bancari alle piccole imprese sono scesi del 2,3 per cento: un trend negativo che per queste realtà aziendali dura ormai da 7 anni [2].
Afferma il coordinatore dell’Ufficio studi Paolo Zabeo:
“Dal 2012, come sottolinea la Banca d’Italia nella sua ultima Relazione annuale, il volume dei prestiti alle aziende con meno di 20 addetti [3] è sceso costantemente. Un risultato che solo in parte è riconducibile alla qualità della domanda e al livello di rischiosità di questi soggetti. Anche a parità di rischio, infatti, i tassi di interesse applicati alle imprese minori sono in media superiori di 300 punti base di quelli pretesi alle aziende di grandi dimensioni. Diversamente, si sono pressoché annullate le differenze tra gli interessi richiesti alle micro aziende maggiormente vulnerabili rispetto a quelle affidabili”.
Una condotta, quella praticata degli istituti di credito nei confronti delle piccole e piccolissime imprese, che lascia trasparire una volontà ben precisa. Dichiara il Segretario Renato Mason:
“Quando una micro impresa si rivolge ad una banca per ottenere un finanziamento, nella stragrande maggioranza dei casi quest’ultimo ha una dimensione economica molto contenuta. Se in prima battuta sembra una richiesta facilmente solvibile, successivamente si scopre che per redigere l’istruttoria ed erogare il prestito gli istituti di credito devono assumersi dei costi fissi molto elevati, che riducono al minimo i margini di profitto di questa operazione. Questa è la ragione che ha spinto molte banche, soprattutto di livello nazionale, a chiudere i rubinetti del credito alle micro aziende. E senza liquidità, molti artigiani e altrettanti piccoli imprenditori si sono trovati in gravi difficoltà”.
Secondo l’Ufficio studi della CGIA, inoltre, non è da escludere che a seguito della significativa diminuzione dell’offerta di credito avvenuta in questi ultimi anni, molti piccoli imprenditori, soprattutto al Nord, siano finiti tra le braccia delle organizzazioni criminali di stampo mafioso. Realtà, queste ultime, sempre molto disponibili a “soccorrere” chi si trova a corto di liquidità.
Un problema che sta assillando, in particolar modo, le attività del comparto casa (edili, dipintori, elettricisti, idraulici, installatori impianti, serramentisti, etc.), che, con l’entrata in vigore del “Decreto crescita”, rischiano di subire un ulteriore danno economico.
Le disposizioni previste dall’art. 10, infatti, stabiliscono che i privati, in alternativa alle detrazioni Irpef del 65 e del 50 per cento, possono cedere gli sgravi fiscali all’azienda a cui hanno affidato i lavori di riqualificazione energetica e/o di riduzione del rischio sismico, usufruendo di uno sconto molto generoso sulla fattura da onorare.
Se da un lato questa decisione può rimettere in moto con forza l’economia del comparto casa, visto che consente al committente di beneficiare di uno sconto del 50 per cento sul corrispettivo dovuto, dall’altro rischia di penalizzare le imprese che hanno realizzato
l’intervento, visto che potranno incassare la metà del corrispettivo attraverso la compensazione fiscale entro i successivi 5 anni.
E’ evidente che una grande azienda può far fronte a questo meccanismo, ma chi non dispone di liquidità, come la stragrande maggioranza delle aziende artigiane del settore edile e dell’installazione degli impianti, rischia di dover rinunciare alla commessa, non potendo sostenere, e anticipare, una buona parte delle spese necessarie per realizzare l’opera.
Di conseguenza, le imprese che si faranno carico di questo onere potranno permettersi di presentarsi al cliente e proporgli questa soluzione, mentre i piccoli artigiani saranno scoraggiati dal suggerire questa misura, con il pericolo di essere estromessi dal mercato.
Per questo la CGIA nei giorni scorsi ha inviato una nota all’Autorità del Garante e della Concorrenza del Mercato, segnalando che questa nuova legge crea una discriminazione fra operatori economici concorrenti, avvantaggiando quelli di maggiori dimensioni ed elevata capacità finanziaria, alterando le dinamiche del mercato, con l’effetto di restringere le possibilità di offerta per i consumatori finali.
Una decisione che se non verrà modificata rischia di mettere in seria difficoltà il comparto casa che tra dipintori, edili, serramentisti, installatori, elettricisti e idraulici conta in Italia poco più di 625 mila aziende, il 70 per cento circa ad alta vocazione artigiana. Le stime relative al 2018 ci dicono che le ristrutturazioni edilizie e gli interventi di riqualificazione energetica hanno generato investimenti incentivati dalle detrazioni fiscali per quasi 29 miliardi di euro, coinvolgendo quasi 427 mila addetti.